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Book review Giovanni Astengo. Urbanista militante, L. Ciacci, B. Dolcetta, A. Marin
Giulio Ernesti
E’ stato di recente edito da Marsilio (Leonardo Ciacci, Bruno Dolcetta, Alessandra Marin ne sono i curatori) un agile e stimolante volume, accompagnato da un film di Leonardo Ciacci, dedicato alla figura intellettuale e morale di Giovanni Astengo ed alla sua presenza e ruolo nell’urbanistica italiana del dopoguerra.
La pubblicazione appare stimolante per almeno tre ordini di motivi: perché rende conto della fatica documentale e archivistica condotta all’interno dell’Archivio Progetti dell’Università IUAV di Venezia sul fondo Astengo lì raccolto; perché mostra l’importanza del lavoro di documentazione come motore di ricerca e per l’arricchimento della documentazione promosso (la serie delle interviste filmate che Alessandra Marin ha ottenuto da chi con Astengo ha intrattenuto rapporti di lavoro); perché, a partire da questo modo di intendere il lavoro d’archivio, volume e film propongono esiti originali di ricerca. Gli esiti a cui mi riferisco si depositano in particolare nel film di Leonardo Ciacci e nello scritto assai denso che l’accompagna, che di quelle immagini si nutre e allo stesso tempo alimenta, secondo un processo ricorsivo di conoscenza, dando luogo alla “biografia sfiorata” di cui parla Bruno Dolcetta.
L’approssimazione all’oggetto diventa in questo lavoro un tratto connotativo del fare ricerca: costituisce la cifra del film, oltre che dell’appassionata fatica che si fa luce, coerentemente, nelle pagine dell’intero volume. E’ infatti la figura dell’approssimazione la leva che così riattiva la ricerca su Astengo portandolo fuori dalle secche dell’omaggio di rito, dal rischio dell’oblio, dal pericolo dell’insistita vulgata agiografica, così come dalla affrettata dichiarazione dell’esaurimento della sua lezione.
Piuttosto, attraverso Giovanni Astengo (l’Astengo militante qui proposto), mi pare prenda corpo un’acuta necessità di storia, di consapevolezza storica, di disponibilità di fondamenti di conoscenza criticabili, in una fase, quella attuale, di profonde e rapide trasformazioni della società, degli oggetti della disciplina e della disciplina stessa. Tutto questo emerge sia dalla leggerezza della rappresentazione filmica, imperniata sulla affabilità e la pluralità dei racconti, dei costrutti di ciò che è o appare degno di nota; sia dalla tematizzazione che li ordina, espressione di una possibile interpretazione. In questo caso interpretazione forte, perché incardinata sulla figura della militanza per la riforma della società, secondo un uso della conoscenza per l’azione che costituisce la ragion d’essere e il perno di legittimazione dell’urbanistica, almeno nel complesso quadro storico del Novecento italiano.
Tre le chiavi dell’impegno di Astengo: per la democrazia; per la democratizzazione della disciplina a fronte delle tentazioni totalitarie che la interessano in parte non irrilevante negli anni della sua prima fondazione; per il suo radicamento nelle istituzioni, condizione essenziale, quale leva e garanzia di un rinnovato buon governo.
Nel film, scanditi da inserti di tenebre sferraglianti, si susseguono, temi e momenti che credo sia possibile ricondurre ad alcune questioni cruciali: un rapporto pubblico-privato definito da una irrinunciabile visione razionale delle relazioni fra sviluppo urbano, attori e interessi; il valore dimostrativo e pedagogico del piano e della disciplina: il metodo, di continuo aggiustato, nella volontà di riconiugare costantemente scienza e arte (relazione istitutiva della disciplina urbanistica sin dai suoi lontani esordi). Coppia questa ora rideclinata sulla dorsale della creatività dell’azione e applicata al disegno degli scenari possibili quali variabili sovraindividuali essenziali per l’esplorazione delle potenzialità di trasformazione della città. Un metodo, in sostanza, che attraverso il continuo ripensamento del nesso conoscenza-azione si fa garanzia della legittimazione dell’urbanistica come sapere e tecnica del governo democratico. Infine, il nodo della formazione. Astengo traduce in curriculum la necessità di una specificità disciplinare - meglio, di una chiarificazione disciplinare - che, ricomponendo la dispersione delle conoscenze necessarie renda l’urbanistica adeguata interprete di un nesso obbligato: quello fra sapere e società, fra sapere e democrazia.
Tutti momenti, quelli succintamente richiamati, di un progetto culturale organico, pensato e perseguito con coerenza nella convinzione che l’urbanistica potesse istituirsi come scienza del territorio per garantire a sé stessa di progredire aprendosi a problemi e discorsi non rintracciabili nel meanstream della sua tradizione; e in tal modo garantire anche la propria legittimazione politica: non nel senso di un appiattimento sulle forme del potere, bensì naturaliter politica per le implicazioni sociali del suo spazio di ricerca e di azione. La scienza insomma, come fuoco necessario per perseguire il consolidamento culturale e sociale di un sistema di conoscenze e di strategie di legittimazione e istituzionalizzazione ancora fragili; di un costrutto di certo non ancora sicuro, da poco riconoscibilmente disciplinare e in ciò significativamente segnato dalla ingombrante ipoteca di una dichiarata funzionalità o prossimità all’opzione corporatitiva e totalitario-organicista del regime, nel ventennio fascista.
Un sapere, in estrema sintesi, poi esposto ai conflitti di una società, quella italiana del secondo dopoguerra, che matura e metabolizza con difficoltà la propria tensione alla democrazia in un quadro di radicalizzata e insopprimibile polarizzazione, di impraticabile alternativa di governo, di insistito integralismo ideologico. Una condizione, questa, che misura i ristretti margini di manovra del riformismo e in particolare dei suoi orientamenti più marcati e radicali sotto il profilo politico e ideologico. A questa condizione politica rinviano, in forme e accenti diversi, le più significative posizioni della cultura disciplinare, inclusa quella astenghiana. In definitiva, un sapere che correla scienza-politica-riforme-impegno, che potremmo definire determinato dalla specificità della storia nazionale. Altresì, un impianto che merita, ancora una volta, di essere ripercorso e storicizzato, secondo quel bisogno di ricerca storica, cioè, che decostruisca gli accomodamenti ideologici della realtà e ricomponga interpretazioni capaci (mettendo in evidenza ciò che stride con la tentazione dimostrativa di molte vulgate correnti) di ridiscutere le certezze cogenti e non negoziabili, ma non adeguatamente fondate e argomentate, di una tradizione interpretativa largamente diffusa.
Nello specifico, ciò che occorre ora è una ricerca storica, come sopra sinteticamente tratteggiata, che, scevra da pregiudizi, sappia riconnettere contesto ed opera astenghiana e che si proponga di raccogliere l’offerta d’apertura (e dunque di ricerca) che proviene dai contributi di questo volume: tutti non a caso, indirizzati in tal senso dalla natura del lavoro e del compito di un centro di documentazione. L’approccio necessario (a questo sembrano richiamare i materiali del volume) per tornare ad affrontare una figura ritenuta fondante, vissuta come esemplare e come tale restituita attraverso la lente della militanza. E ciò in un periodo - il nostro - caratterizzato dalla continuità delle trasformazioni della società e dell’effervescenza del dibattito disciplinare, che questi mutamenti tenta di interpretare, arginare e, se mi si passa il termine, governare.
Via Astengo, ci arriva una sollecitazione che sembra farsi carico di un profondo senso di disagio, di un sofferto bisogno di riferimenti, anche rassicuranti: a fronte dei processi di disarticolazione e inattesa riarticolazione sociale in atto; della decostruzione inesorabilmente in essere del patto sociale fordista; dell’indubitabile crisi della capacità di rappresentanza delle forme tradizionali della politica; della spesso rimossa problematizzazione del rapporto istituzioni-società; dei nuovi spazi, tempi e modi dell’interazione sociale; delle forme della conoscenza; questione, forse, basilare, cruciale, pregiudiziale. Sono questi (ed altri ancora) temi centrali per la riflessione disciplinare e che impongono di meditare sulle nozioni di urbanistica e di planning che hanno presieduto alla loro fondazione, nel secondo dopoguerra: per l’urbanistica, in particolare, una forma-sistema di conoscenza per l’azione, tentativamente scienza sociale e politica. Politica secondo la concezione che di essa ha maturato la determinazione storica del riformismo italiano: obbligato nelle condizioni sclerotiche della dialettica politica e ideologioca della nostra storia; topdown, affidato al sapere esperto, tecnocratico; certo della propria rappresentatività. In definitiva, demiurgico, pedagogico, assertivo; giusto, aggiungerei. Questioni e temi di ricerca che i lavori di questo volume e, in particolare, il saggio e il film di Leonardo Ciacci mi paiono suggerire sollecitandoci soprattutto a storicizzare la militanza astenghiana e, per tale via, a sondarne la spendibilità all’oggi.
Ma vi è di più. Tramite Astengo e la sua militanza (“militanza disarmata”) mi pare di poter leggere tra le righe altre semplici e urgenti domande: l’urgenza di un bilancio; cosa portare nel nuovo mondo; come maneggiare i materiali, le esperienze, i simboli e l’immaginario di una tradizione. Domande che ci avvertono, altresì, del pericolo dell’esemplarità, se non correttamente contestualizzata, se imposta come arroccamento identitario; nonché della difficoltà di contemperare le esplicite implicazioni assertive dell’esemplarità, con il rigore della ricerca e la sua funzione di Erklärung. Rimosso il rischio, le vicende disciplinari e culturali di Astengo (e non solo, ovviamente), ci avvertono della necessità di problematizzare, oggi, il rapporto che corre fra sapere disciplinare e società, politica, democrazia, conoscenza e, ancora, fra il sapere disciplinare e il proprio senso comune. Al riguardo, credo sia indispensabile tornare a riflettere sul nesso conoscenza-azione assumendo che la produzione di conoscenza(e) vada bel oltre il campo esperto, che rimandi piuttosto ai cosiddetti saperi dell’esperienza o conoscenza ordinaria; che cioè implichi la disponibilità, per il sapere esperto, all’apprendimento di ciò che consente di approssimare i tratti distintivi della nostra società: in estrema sintesi, il suo cresciente grado di differenziazione e pluralizzazione.
Una dimensione plurale che leggiamo nella vita quotidiana della città, nelle pratiche d’uso, nelle forme dell’interazione conflittuale, nelle forme del rapporto pubblico-privato, nelle molteplici forme del farsi publico; così come nell’insorgere di una nuova questione urbana che s’intreccia con quella dei diritti di cittadinanza.
Affrontare tutto ciò ed altro ancora, se non interpreto male, mi sembra ciò cui si richiama Ciacci, illuminando la storia con gli interrogativi del presente. Una sfida, anche per chi si sforza di fare ricerca storica disciplinare. In tal caso assumendo un punto fermo: che la città, come altri hanno suggerito, è di nuovo oggi prevalentemente un insieme di sacche di non conoscenza.
Giulio Ernesti
Giulio Ernesti è Professore Straordinario di Teorie dell'Urbanistica presso la Facoltà di Pianificazione del Territorio dell’Università Iuav di Venezia.
giulio.ernesti@iuav.it
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[Book] Giovanni Astengo. Urbanista militante
by Leonardo Ciacci, Bruno Dolcetta, Alessandra Marin
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