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(IBIDEM) no.1 | Editoriali | Leggere
Marco Cremaschi
In Italia si pubblicano oltre 60 mila libri all’anno, un numero in crescita, mentre scende il numero dei lettori. Però due milioni di persone comprano prodotti di editoria digitale, libri, giornali, riviste o ebook, su Internet. E la grande maggioranza dei più giovani usa stabilmente riferimenti sulla rete. Su questa, si trovano anche recensioni in gran numero, e probabilmente in crescita. Si recensisce di tutto. Alberghi, viaggi, prodotti, siti, film e anche libri, naturalmente. Siti noti hanno fatto fortuna pubblicando le opinioni e recensioni di lettori e visitatori per stabilire il successo di un albergo, un ristorante, un libro.
L’orientamento di ibidem è che si scrivano recensioni non per sostituire i libri, e tantomeno per compiacere gli autori; sono operazioni di critica. Servono cioè ad orientare la lettura e, auspicabilmente, a migliorare la scrittura e moltiplicare i lettori.
Come farlo? Inizierò dalla fine. La raccomandazione con la quale si concludono la maggior parte delle istruzioni su come scrivere una recensione accademica recita: aspetta, rileggi quello che hai scritto, rileggi il libro e datti tempo per metterlo in prospettiva. Al contrario di quel che può apparire in prima battuta, la recensione non fa risparmiare tempo, costringe invece a rallentare (Fareri 2009).
Rallenta chi legge il libro, chi scrive la recensione, chi a sua volta la leggerà e, chissà, porrà mano al libro. Rallenta il filo delle idee, scava per trovare le connessioni implicite, dissotterra le fondamenta, rivede i propri pregiudizi e le convinzioni di partenza, confronta le conclusioni e lo stile. Cerca quel che è evidente, ma si aspetta qualcosa di inatteso.
Una recensione critica, insomma, si distingue dal riassunto di contenuti, non solo per motivi quantitativi. Esemplarmente, Salone si esercita in questo primo numero di ibidemsull’esito del pur rigoroso lavoro di dottorato di Renzoni, offrendo in poche righe al lettore un’introduzione non solo al libro, ma al periodo e alla vicenda del Progetto ’80.
È accettabile - si dice - che un terzo circa del testo riassuma il contenuto; spesso è necessario. In caso di confronti tra libri o di percorsi di lettura questo spazio diventa non di rado anche più esteso.Ma i riassunti si concentrano sul contenuto. Una recensione, invece, identifica e sintetizza le idee e le informazioni presenti nel libro e le sottopone ad un giudizio argomentato. Esamina tanto i vizi diffusi quanto le non rare virtù presenti anche nei testi minori, i punti forti e quelli deboli presenti anche nei libri migliori. Questo esame è lento, e richiede analisi, interpretazioni e argomenti. Richiede di collocare quanto si legge su uno sfondo, di posizionare il testo, il critico e il lettore costruendo un intero scenario. Al limite, una recensione si afferma come spazio d’interlocuzione, come deliberatamente fa Ombuen replicando a De Gaspari, a dimostrazione tra l’altro della vitalità degli argomenti sollevati.
Come si fa critica, quali sono i limiti dell’interpretazione? Sono domande calde, alle quali non basta questa nota per dare risposta. Ma possiamo discutere come si svolga il ruolo di recensore, e perché speriamo che questa iniziativa possa interessare autori e lettori, dentro e fuori i centri di ricerca e le università. Solo così acquistano senso domande relative alle finalità e alla efficacia del libro, che talvolta – ma non sempre – sono espresse e presenti all’autore, pur con ineguale chiarezza. In ogni caso, sono domande che trascendono il testo e riguardano invece il rapporto tra il testo e la rete dei referenti che il recensore sceglie di utilizzare. Quasi sempre dunque questa rete eccede l’autore, e il recensore è costretto a traguardarlo (l’autore) in una prospettiva che introduce altri materiali, che enfatizza le risonanze esterne al testo che possono interessare il lettore, come compie acutamente la lettura di Ciacci al testo di Scandurra e Attili, sottolineando l’autoreferenzialità di un certo modo di ripiegarsi della critica disciplinare. O, come fa Violante, ricucendo il discorso progressista su Roma a partire da testi occasionati dalla recente tornata amministrativa, mostrando così lacune significative nella riflessione sulla città.
Le recensioni di ibidem rispondono dunque ad alcune domande.
La prima riguarda il contenuto, naturalmente. Questo sta nel testo, nel modo in cui è costruito, in come si presenta a cominciare dalla copertina, dall’indice, dalla quarta. Ma il contenuto riguarda anche la provenienza del testo, dell’autore, la formulazione del titolo, il genere di appartenenza, come pure eventuali altre recensioni. E altro ancora. Talvolta, si impara più dal chiedersi ‘cosa il libro non dice, cosa viene lasciato sotteso’, che non dalle domande esplicite sulle finalità e i mezzi. Alla finalità espressa corrisponde sempre un sottotesto, un collocamento dell’autore che è frutto di un’operazione strategica ma non necessariamente consapevole. Smontare la strategia (espressa o inconsapevole, talvolta giustapposta nel caso dei prodotti di grandi corporation culturali) è condizione per la comprensione del significato del testo, e del significato che assume nel contesto. Non a caso, la questione che Calafati ripercorre nel libro di Secchi – quale città, di chi – introduce questa riflessione dentro e fuori la linea argomentativa dell’autore.
La domanda successiva riguarda l’utilità. Il giudizio sulle implicazioni e gli impatti del libro richiede sempre un’assunzione di rischio. Ancor maggiore se si considera che la domanda cruciale (perché il libro è stato scritto? ha uno scopo, una motivazione?) non trova sempre una risposta diretta. Si scrivono i libri per tanti motivi, alcuni più onorevoli d’altri. Raramente con degli scopi definiti, ma talvolta per delle lodevoli finalità. Ma i libri fanno qualcosa, comunque, anche al di là delle intenzioni alte o basse, astute o opache di chi scrive. Accanto allo scopo intenzionale, la recensione affronta la funzione potenziale e (talvolta) l’uso pratico, nella consapevolezza dello scarto tra scopo, funzione e uso. Un famoso – in altri tempi – remake comico di Dumas, riportava in esergo proprio l’invocazione, cito a memoria, che i libri sono scritti per dire qualcosa; fine che gli autori si proponevano di falsificare con impegno (Nizza e Morbelli, 1936).
Una terza domanda riguarda il tipo di operazione. I materiali e il loro uso non sono indifferenti rispetto all’obiettivo. I materiali possono essere ampi, le analisi più o meno approfondite. E gli argomenti possono essere sviluppati in modi profondamente differenti. C’è un elemento tecnico proprio alla critica letteraria, indubbiamente. Anche superficialmente, val la pena ricordare alcune possibilità. Un montaggio sedimentario, pittorico, allude, descrive e offre uno scenario; una ricostruzione cronologica crea un canovaccio, delle storie, relazioni di senso nel tempo e nello spazio, costruisce una narrazione; un’esposizione a tesi illustra delle prove in sequenza, simula un dibattimento giudiziario, argomenta e difende (Moccia 2013). Ad esempio, l’approccio biografico aiuta a comprendere questioni complesse, come argomenta Saija sul saggio di Bazzi a proposito delle intricate relazioni tra regolazione urbanistica e influenza mafiosa. Più in generale, una dimensione etnografica è sempre più richiesta per la comprensione di problemi emergenti e contesti mutevoli, in particolare nei percorsi delle migrazioni nelle nostre periferie, descritti da Pompeo e commentati da Briata.
È quel che fanno anche i saggi, anche nel nostro settore? Sempre più la letteratura specialistica mescola questi registri, con maggior o minore disinvoltura. I risultati si giudicano volta per volta. Ma distinguere i registri letterari aiuta chi scrive e chi legge. E in ogni caso, implica un confronto tra mezzi e fini, tra gli obiettivi del testo e la strategia argomentativa. È forse opportuno ricordare che anche questa è responsabilità di chi scrive e che ogni gioco linguistico è legittimo – alludere, indicare, raccontare, spiegare e provare – nei limiti delle proprie regole. Infatti, nel commentare i diversi saggi sul cosmopolitismo urbano e nel dar ragione dell’apparente eterogeneità, Fioretti ricostruisce e contrasta i contributi più generali, le testimonianze e i racconti di luoghi presenti nei libri di Guarrasi e De Spuches.
Materiali argomentativi e registri letterari non sono dunque meno importanti degli scopi. E la qualità di questi è materia di giudizio, di valutazione certamente difficile e opinabile. Ma non tutte le operazioni sono legittime, anche se non esistono certezze meccaniche. Un discorso completo, sarà banale ricordare, è meglio di uno parziale; omissioni rilevanti non sono accettabili. L’uso di fonti nuove, o un nuovo uso delle fonti esistenti è preferibile alla riproposizione di dati vecchi. Rivolgersi a un pubblico esclusivo o trovare le forme adeguate per allargare la diffusione delle conoscenze, due alternative egualmente legittime, portano a risultati diversi, e sono parte rilevante del giudizio.
Infine, la recensione affronta i giudizi di merito unitamente alla presentazione del contenuto, dell’uso e del modo. Il giudizio sulla autorevolezza dell’autore e la rilevanza del testo (anche questi non sempre distinti) non è separabile dal percorso descritto in precedenza. In questo senso, le recensioni di ibidem vanno al di là della recente valutazione universitaria (Anvur 2012) che ha insistito non sorprendentemente su tre giudizi: la rilevanza, intesa come ‘il valore aggiunto’ in generale al sistema delle conoscenze; l’originalità, ovvero il contributo alle nuove acquisizioni nel settore specifico; e l’internazionalizzazione, cioè il ‘posizionamento’ nello scenario internazionale. Mentre i primi due sono standard, per quanto di non ovvia definizione come si è visto, il terzo è un obbiettivo di congiuntura frutto di una valutazione ministeriale dello stato della ricerca italiana.
L’attenzione di ibidem è per necessità e volontà limitata alla letteratura per l’Italia (più che in italiano), nella convinzione che un confronto dentro e fuori la comunità scientifica rivitalizzi il ruolo civile dell’urbanistica. Con qualche eccezione: la recensione di Fainstein di De Grandis mette alla prova gli sconfinamenti che caratterizzano la nostra disciplina, un po’ disinvolta (anche negli esempi migliori) nel prendere a prestito corpus teorici sviluppati altrove; e carente invece nell’attualizzarli rispetto allo specifico degli interventi e della regolazione della città.
Oltre alla rilevanza e all’originalità, ibidem si interroga dunque sulla pertinenza. Su questo aspetto interviene Cristina Bianchetti nell’articolo che segue, dove sottolinea la responsabilità di chi scrive di città e territorio quando il mondo intorno a noi procede in ordine sparso, producendo descrizioni, storie, teorie, tesi (e troppo spesso perorazioni). Le perorazioni – che siano pungenti o ripetitive– sono fin troppo spesso un marchio originale della letteratura urbanistica, con il rischio di configurarla, in assenza di un forte statuto di ricerca, come un tribunale autopromosso a difesa dei luoghi. Non credo che sia sufficiente ed adeguato che un settore disciplinare, di pratiche, di studi – per quanto perennemente in crisi – cerchi rifugio e legittimazione in valori esterni e solo apparentemente indiscussi. Ci limiteremo ad essere una pia società di protezione dei luoghi, forse muti ma certo non univoci? Sarebbe un esito forse consolatorio, ma certo non desiderabile.
Ma dei luoghi occorre parlarne. Abbiamo una responsabilità nei confronti di un campo travagliato e non ben definito della ricerca in campo urbano, composto inoltre non solo di documenti ma anche di monumenti (luoghi, immagini, fonti), cioè di testi privi dei requisiti canonici: non sono opere, non c’è un autore, non hanno nemmeno un atto di nascita. In questo numero, Nur e Castagna si avventurano nell’impresa di recensire piazza Taksim e un corpo di letteratura grigia. Un esperimento che verrà perseguito (per quanto non sia facile) per prove e tentativi.
Di nuovo Bianchetti suggerisce di accettare l’impulso divagatorio della curiosità. Il banco di prova di questa iniziativa è di alimentare la curiosità con la critica, tanto ricca la prima quanto serrata la seconda.
Marco Cremaschi
Dipartimento di Architettura
Università degli Studi Roma Tre
E-mail: marco.cremaschi@uniroma3.it
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Anvur (2012), Valutazione della qualità della ricerca 2004-2010, Roma.
Fareri P., Giraudi M. (a cura di, 2009), Rallentare. Il disegno delle politiche urbane, Franco Angeli, Milano.
Nizza A., Morbelli R. (1936), I quattro Moschettieri, Perugina.
Moccia D., “I generi della letteratura urbanistica”, Urbanistica dossier, 3, giu. 2013.
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