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Urban Open Spaces - Review

by Andrea Di Giovanni

“Urban Open Spaces” è la locuzione con la quale l’autrice indica lo spazio aperto di uso pubblico, ma la traduzione del termine inglese pone qualche problema. Essa conserva una dimensione evocativa e problematica che alimenta costantemente la riflessione dell’autrice e contribuisce a strutturare il pensiero portante del libro, secondo il quale il design ed il management dello spazio pubblico non sono direttamente influenti rispetto ai comportamenti delle persone. La rilevanza dei progetti di configurazione spaziale e di gestione dello spazio pubblico urbano risiede piuttosto nella possibilità di creare condizioni favorevoli all’affermazione di pratiche d’uso diverse. Probabilmente questo convincimento dell’autrice, poco evidente ma ricorrente nel libro, ne rappresenta in maniera sintetica ed efficace il posizionamento rispetto al campo tematico affrontato.
Un modo quindi di considerare lo spazio pubblico urbano che, partendo dal riconoscimento di aspirazioni diffuse ed esigenze ricorrenti nella società odierna, suggerisce soluzioni progettuali e gestionali con la consapevolezza che nessuna di queste – da sola o insieme – sarà in grado in alcun modo di determinare il risultato finale atteso. Piuttosto, il progetto dello spazio fisico e le politiche per la rivitalizzazione dello spazio pubblico urbano potranno favorire l’affermazione di pratiche d’uso diverse e molteplici (non del tutto predeterminabili) in un ambiente adeguato al loro svolgimento.

L’idea che alimenta il libro di Helen Woolley è dunque quella di uno spazio pubblico aperto, disponibile ad accogliere una molteplicità di usi e significati possibili, comunque legittimi rispetto agli assetti configurati da progetti e politiche di sviluppo dello spazio collettivo urbano. Dunque un’idea fertile di “urban open spaces” in ragione della sua disponibilità ad accogliere la formazione di paesaggi fisici e sociali che, in maniera solo in parte controllabile dal punto di vista progettuale, possono derivare dalla interazione fra i luoghi e la società che li abita. Il libro propone implicitamente una dimensione progettuale problematica e consapevole dei limiti, ma anche delle possibilità e responsabilità del progetto nel configurare spazialmente e funzionalmente gli scenari auspicabili di una interazione proficua fra l’uomo (nella sua dimensione singolare e collettiva) e l’ambiente urbano nel quale vive.
L’autrice suggerisce la rilevanza e l’attualità del tema che affronta formulando alcune considerazioni sulle difficoltà del vivere che derivano dal passaggio dalla società e dagli insediamenti rurali alle situazioni insediative e agli stili di vita odierni che penalizzano la vita in pubblico e la cura dello spazio collettivo. Helen Woolley afferma in sintesi che si è persa la capacità di riconoscere ed attribuire valore allo spazio pubblico urbano.
Ma proprio rispetto alle condizioni abitative odierne (imputabili alle caratteristiche degli insediamenti e agli stili di vita che ne conseguono) lo spazio pubblico urbano assume un peso crescente nella domanda sociale.

Probabilmente però allo spazio pubblico viene attribuita oggi una importanza generica ed un po’ sfocata rispetto ai contenuti reali delle pratiche individuali e collettive. Appare spesso evidente lo scarto fra una domanda vaga di spazio pubblico espressa dalla società contemporanea (sebbene con declinazioni diverse nei diversi contesti) e la rilevanza attribuita nei fatti allo spazio pubblico urbano dalle pratiche d’uso. Sembra che nelle richieste della società, come anche nei programmi, nelle politiche e nei progetti, lo spazio pubblico urbano assuma una rilevanza prevalentemente retorica; espressione, forse, di una generica aspirazione alla qualità che stenta a tradursi concretamente in pratiche d’uso e cura degli spazi della vita in pubblico.

Il libro di Helen Woolley sembra utile da questo punto di vista per “trattare progettualmente” questa aspirazione alla qualità precisando la diversa rilevanza di fattori pertinenti (rispetto alla percezione di qualità di un luogo e del modo in cui esso può essere abitato) nei singoli contesti. Gli aspetti funzionali e generalmente di benessere psico-fisico sono, secondo l’autrice, quelli che determinano prioritariamente un livello accettabile di soddisfazione nei confronti dello spazio pubblico e di ciò che in esso è possibile fare.
Secondariamente, invece, sono i processi cognitivi e le qualità estetiche a determinare l’apprezzamento nei confronti di un luogo. Se questa ipotesi (non ulteriormente sviluppata nel libro) fosse confermata, potrebbe essere utile per orientare consapevolmente le azioni sullo spazio pubblico previste dalle politiche e dai progetti rispetto ai caratteri del contesto fisico e sociale, ma anche per programmarne temporalmente la trasformazione rispetto al soddisfacimento di requisiti diversamente urgenti.
“Urban Open Spaces” cerca di esplicitare i riflessi possibili della auspicata qualità rispetto al design e al management dello spazio pubblico urbano, e per fare ciò individua alcune fondamentali opportunità offerte alla vita urbana dalla presenza di spazi pubblici rispetto alla sfera personale e familiare, al sistema relazioni sociali a livello di vicinato, nonché alle dinamiche più articolate della vita civile.
Questa è la struttura argomentativa fondamentale attraverso la quale l’autrice sostiene ripetutamente l’imprescindibile necessità dello spazio pubblico per le società urbane.
Il libro è organizzato in tre sezioni.

Nella prima l’autrice illustra “The Benefits and Opportunities of Urban Open Spaces” provando ad elencare la varietà delle ragioni per le quali la presenza e la cura degli spazi pubblici risultano importanti per la vita quotidiana di diversi gruppi sociali: i diversi vantaggi (sociali, per la salute, ambientali ed economici) sono delineati senza tuttavia dedicare loro l’approfondimento che solo una lettura specialistica potrebbe sostenere. Da questo punto di vista, tuttavia, una bibliografia strutturata rappresenterebbe un utile complemento al testo che si presenta parzialmente incompleto dal punto di vista delle fonti e dei rinvii alla letteratura di approfondimento.

Nella seconda sezione la letteratura sullo spazio pubblico urbano diviene invece oggetto di una critica che ne investe i modi consueti attraverso i quali individua ruoli, gerarchie e funzioni dei diversi “tipi” di spazi rispetto alla destinazione d’uso e alla tipologia. Mentre la logica ed i processi urbanistici individuano piazze, strade, giardini, parchi, ecc. quali categorie dello spazio pubblico “operabili” (per la ricerca ed il progetto), l’autrice (coerentemente con l’impostazione generale del libro) propone invece di assumere il punto di vista del cittadino che utilizza lo spazio pubblico: in questo modo la variabile principale diventa il tempo, la durata e la frequenza che caratterizzano l’uso di un certo spazio rispetto a diversi cicli e temporalità. Sono soprattutto il giorno e l’esistenza i riferimenti temporali che suggeriscono di considerare spazi pubblici “domestici”, “di vicinato” ed “urbani” in relazione alla possibilità di accedere a ciascuno di questi in diversi momenti della vita e della giornata.
Questa stessa interpretazione dello spazio pubblico urbano costituisce il riferimento rispetto al quale si organizza l’esposizione dei sedici casi studio dell’ultima sezione del libro, distinti fra “neighbourhood” e “civic” urban open spaces. Per ognuno di essi vengono individuati gli scopi del progetto, il ruolo dei progettisti, i vincoli e le condizioni del progetto, le opportunità, gli aspetti del design, i livelli di partnership e di partecipazione, nonché il profilo degli utenti caratteristici.

Il tema e le interessanti riflessioni che l’autrice suggerisce al lettore fanno di Urban Open Spaces un libro rivolto ad un pubblico vasto, che si avvicina ai temi del design del management dello spazio pubblico urbano senza avere la necessità di approfondire aspetti di ricerca e di progettazione che richiederebbero l’integrazione del libro con apparati bibliografici o di illustrazione grafica dei progetti che nel libro sono invece estremamente contratti.

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