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Book review: Fare urbanistica. Esperienze, comunicazione, memoria, P.Gabellini
Carlo Gasparrini
Il nuovo libro di Patrizia Gabellini richiede due brevi premesse. La prima è che questo libro si inserisce in un percorso di riflessioni e di pubblicazioni che ha oramai quasi 20 anni nella sua forma più matura, da Urbanisti italiani con Paola Di Biagi del 1992 a Il disegno urbanistico del 1996 e a Tecniche urbanistiche del 2001, fino a questo testo del 2010. Un percorso oramai lungo e storicizzabile, denso e coerente, che ha saputo attingere al patrimonio composito della tradizione urbanistica italiana, sporcandosi le mani col “fare urbanistica” per sperimentare strade innovative della pianificazione. Uno dei caratteri più rilevanti della produzione di Gabellini è proprio questo continuo riferimento ad alcune radici nobili della tradizione del nostro Paese per mostrare quanto alcuni approcci, posizioni, strumenti siano strutturati nell’urbanistica italiana e quanto tuttavia siano suscettibili ancora di ripensamento e innovazione.
La seconda premessa è che, in questa genealogia, è sicuramente possibile posizionare oramai anche la figura e il lavoro di Gabellini, attore importante di questa storia operante negli ultimi 25 anni, come dimostrano, oltre che i suoi lavori teorici e professionali, anche gli intensi rapporti con alcuni degli urbanisti italiani che hanno percorso le strade più fertili (e controverse) degli ultimi decenni. Una traiettoria che mi piace pensare abbia avuto, anche fra noi, non solo alcune occasioni di confronto diretto - come nel caso del nuovo Piano di Roma - ma anche di convergenza culturale e umana. Per quel che riguarda i suoi riferimenti forti nella costruzione del mestiere, la lettura dei testi dell'autrice, pur riconoscendo a Campos Venuti un ruolo centrale nella storia urbanistica italiana, rende esplicita una formazione culturale fortemente connessa ad alcuni percorsi innovativi dell’urbanistica italiana, principalmente riconducibili a Bernardo Secchi con cui ha ha condiviso molte esperienze fertili. (...)
I ragionamenti che svolgerò sul suo nuovo libro ruotano attorno a tre questioni: (I) La necessità che gli urbanisti hanno di argomentare e dare un senso a ciò che fanno; (II) l’atteggiamento culturale e il posizionamento dell’urbanista nei processi di piano; (III) i temi che cambiano il modo di guardare la città (...).
In un mondo accademico in cui “fare urbanistica” è spesso inteso come professionismo nel senso peggiore del termine, oppure è considerata un’attività minore da parte di quei colleghi che preferiscono non sporcarsi le mani con questo mestiere, i piani di Gabellini dimostrano che è possibile farli divenire parte integrante di un percorso di ricerca fertile. Questo legittima l’uso del racconto delle proprie esperienze. Lo spazio dato, ad esempio, al recente Piano di Bologna non ha in questo senso il valore di un vessillo, di un monito o di un modello come è avvenuto e ancora avviene, non senza efficacia, per Campos Venuti. Ma di un tassello, sicuramente importante, di una traiettoria culturale che rifugge dal clamore delle parole roboanti e dal clima delle grandi sfide e che preferisce lavorare nei contesti, più silenziosamente, “con pertinenza tecnica e consapevolezza sociale” come si usava dire un tempo. Il piano di Jesi, prima con Secchi e poi come progettista incaricata, i piani di Siena, Bergamo e Prato, poi quello di Bologna nella sua città, testimoniano eloquentemente la sperimentazione di una nuova forma di piano (...).
Nei profili dei piani e degli urbanisti, nella periodizzazione, nei “raccordi” (soprattutto in “Composizione urbanistica”, “Comunicare l’idea”, “Fluidità vs rigidità” nella terza parte del libro) appare chiara la necessità di valorizzare un repertorio di strumenti e pratiche capaci di delineare, quantunque con declinazioni diverse, un ruolo di urbanisti-progettisti in cui “la dimensione pratica diventa fondamento del lavoro teorico e il progetto momento di coagulo dell’esperienza intellettuale” (...).
Il primo capitolo apre ad una lettura dello sprawl (con le necessarie differenze tra America ed Europa) con una chiara ambizione di far uscire la riflessione sulla diffusione urbana da una dimensione esclusivamente analitica. Lo stesso titolo allude ad un fenomeno e ad una necessità che abbiamo indagato, forse poco e altrove più di noi, che richiede un’attenzione visionaria e progettuale a cui non siamo ancora sufficientemente attrezzati. Giustamente Gabellini non si sofferma più di tanto sulla sterminata produzione planetaria relativa alla città contemporanea e alle tante declinazioni del termine city che “meriterebbe già una ricerca apposta”. Si sofferma invece sulla necessità di riflettere nuovamente anche su una scala ampia della città, senza abbandonare quell’attitudine multiscalare che è uno dei depositi più importanti di un certo modo di “fare urbanistica”. (...)
L'autrice ci sollecita a delineare le nuove caratteristiche del territorio e della città contemporanei, con il riconoscimento di alcuni temi e luoghi, ma soprattutto di un’attenzione progettuale ad una trasformazione urbana che sia in grado di comprendere e coinvolgere nuovamente la scala della città, nelle dimensioni e con l’articolazione che essa ha raggiunto. Di qui l’attenzione al mosaico soprattutto dei paesaggi periurbani in between “di attività, di frammenti di natura e paesaggi che stanno subendo una mutazione”. “Una sequenza di ibridi dove la natura si fonde con la cultura, il rurale con l’urbano, l’agricoltura con l’industria, originando qualcosa di sostanzialmente differente da ciò che definiamo urbano, suburbio o città-satellite”. Di cui interessano ovviamente non solo le forme insediative ma anche le comunità che le abitano e gli usi che li animano (...).
C’è un passaggio importante in questo ragionamento sull’abitabilità e sulle due mosse impegnative che esso comporta e che spingono verso una integrazione di competenze e contributi:
1. “rompere lo schema funzionale che schiaccia l’abitare sulla residenza, recuperando la dimensione radicale dello stare e del vivere (si deve poter abitare sempre e ovunque)”;
2.“lavorare sulla specificità delle pratiche sociali che si esplicano nell’uso dei differenti spazi”, perché non bastano le caratteristiche fisiche degli spazi a garantire abitabilità ma anche la loro manutenzione, la sicurezza, i modi d’suo, le culture della gente che li abita e così via. Insomma, “l’urbanistica può fare molto ma non da sola, e l’abitabilità assume il carattere di una tensione mai esaurita che alimenta un ampio spettro di progetti e politiche” (...).
Carlo Gasparrini
Carlo Gasparrini insegna Urbanistica presso la facoltà di Architettura dell’Università di Napoli “Federico II” ed è autore di numerosi piani e progetti. Tra i suoi testi: L’attualità dell’urbanistica. Dal piano al progetto, dal progetto al piano (1994), Il progetto urbano. Una frontiera ambigua tra urbanistica e architettura (1999), Primevisioni. Attraverso le scale di piani e progetti (2003), Passeggeri e viaggiatori (2003).
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This is a review for:
[Book] Fare urbanistica. Esperienze, comunicazione, memoria
by Patrizia Gabellini
Planum
The Journal of Urbanism
ISSN 1723-0993
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Istituto Nazionale di Urbanistica
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ISSN 1723-0993 | Registered at Court of Rome 4/12/2001, num. 514/2001
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