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Dentro gli archivi di «Spazio e Società»
Francesco Samassa
Nell'ambito di un'operazione più generale di riordino degli archivi di Giancarlo De Carlo, che diventeranno un importante patrimonio culturale custodito dall'Archivio Progetti dell'Istituto Universitario di Architettura di Venezia, è stato di recente portato a termine un primo riordino dei materiali acquisiti in relazione all'attività redazionale della rivista «Spazio e Società» diretta lungo tutto il corso della sua vita, appunto, da Giancarlo De Carlo. I materiali documentali recuperati, nel corso dell'estate 2001, erano conservati presso l'ultima sede della redazione che, salvo il primo periodo della rivista in cui questa era dislocata presso la sede dell'editore (allora Mazzotta), è sempre stata ricavata all'interno dello studio professionale di De Carlo a Milano, se non altro per consentire a De Carlo stesso, intensamente impegnato, soprattutto negli anni Settanta e Ottanta, da continui viaggi (per seguire i progetti, per l'insegnamento nell'Università - in Italia e all'Estero -, per le attività dell'Ilaud e altro ancora) una partecipazione comunque attiva alla costruzione della rivista. Questa soluzione accompagnerà gli ultimi due trasferimenti dello studio, in via Mascheroni prima, in via Pier Capponi poi, dove la redazione è rimasta fino alla recente chiusura delle attività. Date le dimensioni contenute che sono state sempre caratterizzanti l'organizzazione redazionale, non vi era una persona che si occupasse stabilmente dell'archivio. Una responsabilità fondamentale nella sua costruzione spetta alla personalità di Giuliana Baracco che, caporedattrice fin dall'inizio, è stata un'anima fondamentale di «Spazio e Società», sicuramente per quanto riguarda la sua conduzione organizzativa ma anche in riferimento ai suoi orientamenti culturali - in una interessante dialettica, a volte contrastata, con la figura certamente 'ingombrante' di un direttore così autorevole.
Il deposito documentale è costituito fondamentalmente di tre blocchi di materiali: la corrispondenza, una raccolta di articoli di giornale e di immagini varie e infine diversi materiali relativi alla preparazione dei vari fascicoli.
La corrispondenza soprattutto si offre come patrimonio documentale utile a illuminare il progetto culturale che ha sostenuto GDC nel portare avanti la rivista. Sicuramente sarà necessario uno studio attento e paziente della molteplicità di faldoni di corrispondenza che sono stati conservati; tuttavia è possibile anche ad un primo esame generale dei materiali individuare alcune questioni rilevanti. Anzitutto è facile osservare come l'ambito culturale in cui si muovono i contatti della rivista è praticamente lo stesso ambito culturale in cui Giancarlo De Carlo porta avanti le sue attività di architetto e di professore all'università. Come docente universitario, oltre a poter portare alla rivista diversi contatti sviluppati in generale nell'ambiente accademico, potrà anche raccogliere diverse energie e risorse a sostegno della rivista. Al periodo di insegnamento alla scuola di architettura di Venezia si deve la collaborazione con la prima «Spazio e Società» di alcuni giovani come Gaddo Morpurgo e Daniele Pini (che figurano nella redazione fin dai primi numeri) o Franco Mancuso (che collaborerà in diverse occasioni) che rappresentavano i suoi giovani allievi-collaboratori alla scuola di Venezia stessa; al periodo di intensa collaborazione con il M.I.T. si deve l'interessante esperimento di sdoppiamento della redazione con una gruppo redazionale americano, guidato da Julian Beinart (docente del M.I.T. che aveva organizzato e tenuto un corso assieme a De Carlo), responsabile per intero di uno dei quattro numeri di ogni annata; al periodo di insegnamento presso la scuola di architettura di Genova si deve infine un altro triennio importante di vita della rivista che, sotto la spinta del Preside della facoltà stessa Edoardo Benvenuto, viene promossa e sostenuta da un gruppo di docenti dell'università genovese raccolti in associazione sotto la sigla di "Genova Architettura". Come architetto egli può portare invece alla rivista un gran numero di contatti sviluppati attraverso inviti a seminari e convegni, riunioni con altri architetti (penso al sodalizio del Team X così fertile di sviluppi per De Carlo a partire dalla fine degli anni Cinquanta in poi), ma anche l'attività progettuale in senso stretto. In generale si può dire che trova De Carlo trasmette alla rivista la sua personale inclinazione a prestare maggiore attenzione alle istanze che provengono 'dal basso', dal mestiere e dalla pratica dell'architettura, più che non dall'alto delle cattedre della cultura accademica (rispetto la quale, ben ricambiato, De Carlo nutrirà sempre una profonda diffidenza). Anche in seno all'università non è peraltro raro osservare De Carlo attento, più che non ai docenti affermati, alle espressioni del mondo studentesco, o comunque dei più giovani del mondo accademico: che egli ritiene più liberi di pensare al di fuori dei condizionamenti di potere e degli schemi precostituiti. La corrispondenza parla chiaro in questo senso: anche se non mancano le collaborazioni prestigiose maturate occasionalmente nella cerchia delle conoscenze di De Carlo, non vi è alcun nucleo documentale che possa testimoniare l'inseguimento di un contatto di collaborazione con qualche grande nome della cultura accademica o qualche vedette dello star system dell'architettura. Per la grande maggioranza i nomi che possiamo incontrare sfogliando il complesso documentale della corrispondenza intrattenuta dalla redazione della rivista non sono 'grandi nomi' della cultura architettonica, non sono conosciuti al grande pubblico delle riviste di architettura prestigiose e patinate che si affollano nelle librerie specializzate.
Forse questo si deve anche ad un altro carattere della rivista che ha forse una connessione con la forte personalità del suo direttore. Lungi dall'essere alla ricerca di grandi personalità in grado di produrre contributi dotati di una forte autonomia culturale, la redazione si muove piuttosto cercando di raccogliere energie attorno ad un unico progetto culturale per l'architettura, la cui definizione coincide largamente, evidentemente, con la ricerca architettonica di Giancarlo De Carlo. Di questo progetto culturale sono da rimarcare alcuni temi costantemente al centro della riflessione della rivista e di De Carlo [1]: la dimensione partecipativa dell'architettura e la natura processuale del progetto, la lettura del contesto del progetto e la definizione della sua declinazione tentativa. Ora, in questa prospettiva, il complesso degli interlocutori della rivista, coordinato dalla redazione, prende un significato preciso: è più che altro un potente sensore dagli infiniti terminali, diffusi capillarmente in tutto il mondo, in grado di portare alla rivista materiali utili per portare avanti un discorso, ovvero per discuterne le possibili articolazioni e declinazioni e implicazioni, ma un discorso che già si dà come delineato nei suoi connotati di fondo. De Carlo non farà mai mistero del fatto che la sua è una rivista "di tendenza" confessando programmaticamente quello che per altre testate, che si propongono pomposamente come palcoscenico neutrale per discussioni a tutto campo, potrebbe essere il terreno di una imbarazzante sconfessione.
Un esame anche sommario della documentazione dell'archivio, e in particolare penso alla corrispondenza con gli editori, con cui la rivista ha sempre avuto un rapporto tormentato (del resto già evidente nella successione delle ben sette case editrici che hanno curato la stampa e la distribuzione della rivista nei suoi venticinque anni di vita [2]), porta in luce altri connotati del progetto culturale della rivista. Il primo emerge dalla costante insistenza di De Carlo affinché la rivista venga diffusa nella maniera più efficace, con grande attenzione alla sua diffusione all'estero. In questo senso è significativo che fin dai documenti più vecchi, relativi alle trattative con i primi editori, il tema della necessità di una traduzione in inglese di tutti i testi sia discusso in tutti i suoi risvolti, non ultimo quello di come assorbire l'onere economico che ne deriva. Non mancano anche le pressioni affinché la campagna abbonamenti riesca con successo anche fuori dall'Italia: a più riprese, De Carlo gira all'editore di turno lettere che gli giungono da paesi stranieri per segnalare la scarsa reperibilità – e più spesso l'irreperibilità - della rivista. Questa costante attenzione alla necessità di un sprovincializzazione dello sguardo sull'architettura si ritrova anche nella esperienza della redazione americana cui ho già fatto riferimento; ma anche, rimanendo ai contenti della rivista, alla continua attenzione ai caratteri e alle vicende di culture architettoniche lontane dalla realtà europea e, ancor meglio, dalla realtà sempre più omologata del mondo occidentale. In questo senso è molto interessante scorrere l'indice per località di progetto degli indici generali della rivista (di recente pubblicazione [3]): se da un lato non mancano delle ampie esplorazioni di progetti di alcune grandi tradizioni dei paesi occidentali (Francia, Spagna, Germania, Gran Bretagna, USA e naturalmente Italia), dall'altro è sorprendente osservare come le esplorazioni si siano spinte nel corso degli anni in un ampio spettro assolutamente intercontinentale di realtà locali [4].
Questo aspetto sconfina in un altro tratto fortemente caratterizzante il progetto culturale della rivista: l'attenzione alle realtà del cosiddetto Terzo Mondo. Si tratta di un'attenzione assolutamente preminente che ha la sua ragione d'essere nell'inseguimento tenace di quel rapporto organico tra spazio e società che sembra essere andato perso nella realtà dei paesi occidentali dove standardizzazione degli elementi, industrializzazione dei processi edilizi, delega alle figure tecnico-manageriali delle responsabilità progettuali hanno stravolto le originarie regole del gioco antico della costruzione della città e dell'architettura.
A questo allargamento del panorama geografico indagato dalla rivista, corrisponde un altrettanto ampio allargamento del pubblico cui viene indirizzata la rivista nella definizione dei suoi contenuti: fin dall'inizio «Spazio e Società» non cerca di essere rivista 'per architetti' avendo come termine di riferimento dell'interlocuzione, come la testata recita esplicitamente, piuttosto la società nel suo complesso. A questo proposito deve essere ritenuto fondamentale il contributo dato alla rivista da Giuliana Baracco che non ha la formazione dell'architetto e ha sempre cercato di tenere viva dentro la rivista un'anima fondamentalmente avulsa dal discorso architettonico, più concentrata sul sociale. Ma lo stesso De Carlo, peraltro, dichiarerà in diverse occasioni che intende rivolgersi, con la rivista, a un pubblico ben più ampio che non lo stretto disciplinare degli architetti; interesse primario è coinvolgere nelle questioni che ineriscono la costruzione dello spazio architettonico della città e dell'edificio anche e soprattutto chi architetto non è, ma non per questo non deve aver voce in capitolo. Un orientamento di questo tipo fa sì che la rivista sia meno concentrata sulla forma del progetto d'architettura, sia cioè, concretamente, meno interessata alla pubblicazione di disegni tecnici - 'leggibili' solo dagli 'addetti ai lavori', e più dedita invece alla discussione in un linguaggio non tecnico delle questioni che sollevano la progettazione e la costruzione e l'uso di un'architettura, ovvero la continua trasformazione di uno spazio fisico per il tramite dell'architetto ma anche della società nel suo complesso [5].
Naturalmente scelte di questo tipo pongono programmaticamente fuori dal corrente mercato editoriale dell'architettura la rivista che, per questo, deve dibattersi continuamente in una ristrettezza di risorse economiche che ne condiziona fortemente anche la confezione editoriale. Così, se il rigoroso bianco/nero è sicuramente anche un preciso segnale di riottosità nei confronti del facile edonismo figurativo e del morboso compiacimento decorativo che viene riconosciuto alle altre riviste d'architettura in molti resoconti per appunti dei dibattiti che periodicamente si svolgevano presso la redazione; è anche evidentemente un modo per contenere il costo della rivista che non sarebbe potuto essere coperto che da compromessi sul piano delle scelte culturali. Anche perché un altro dei punti fermi del progetto della rivista, che custodisce a spese di notevoli sacrifici la propria libertà e indipendenza intellettuale, è il rifiuto di drenare un sostegno economico 'sostanziale' attraverso la pubblicità: De Carlo in una lettera a Gabriele Mazzotta si limiterà a dire che "il sostentamento della rivista [...] può essere aiutato da un po' di pubblicità decente", dove dentro il concetto di 'decenza' si fondono un ideale di discrezione estetica ma anche comportamentale.
Complessivamente del resto, dalla lettura dei materiali dell'archivio risulta che l'equilibrio fragile di cui vivrà costantemente la rivista è teso tra queste esigenze contrastanti di una integrità del progetto culturale (pena la risibilità delle risorse economiche di sostegno) e l'inseguimento di una eleganza del prodotto editoriale (difficile da confezionare con la endemica esiguità delle risorse). Un equilibrio da raggiungere peraltro irrinunciabilmente perché, come afferma De Carlo in un altro documento, "bisogna tener presente che si tratta di una rivista di Architettura e Urbanistica e che quindi ha anche intrinseche esigenze formali [...]. Perciò deve essere elegante, rigorosa, precisa, esteticamente ineccepibile, anche se senza sprechi.".
NOTE
[1] Che non a caso ritroviamo centrali all'ILAUD (International Laboratory of Architectural and Urban Design), l'altra importante creazione di De Carlo.
[2] Moizzi (Milano), Mazzotta (Milano), Sansoni (Firenze), Sagep (Genova), Le Lettere (Firenze), Gangemi (Roma) e Maggioli (Rimini).
[3] "«Spazio e Società», indici con figure. 1976-2000", ed. Maggioli, Rimini 2000.
[4] L'elenco di questo indice arriva al considerevole numero di 58 stati nazionali tra cui Indonesia, Islanda, Laos, Mala- ysia, Nepal, Nuova Guinea, Perù, Suriname, ...
[5] Questo orientamento dovrà in parte gradualmente attenuarsi con l'avvicendarsi delle stagioni culturali. Esplicitamente in questo senso si esprime Franco Mancuso intervistato da Sara Basso ("«Spazio e Società», una rivista influente tra urbanistica e architettura", tesi di laurea dello IUAV, AA 1999-2000, pag. 228).
Francesco Samassa
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