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Book review
Economie in cerca di città, Antonio G. Calafati

Maria Chiara Tosi


"In Italia esiste una questione urbana che si dovrebbe affrontare con urgenza, in quanto è una delle principali ragioni del declino economico del paese". 


Con queste parole inizia la quarta di copertina del libro di Antonio Calafati, sintetizzando e rendendo assolutamente evidente quale sia il tema che il libro cerca di discutere ed argomentare. A essere indagate sono le insufficienti prestazioni delle principali città italiane, la loro scarsa capacità di produrre, mantenere e garantire benessere per le popolazioni insediate. Una delle principali ipotesi è che i sistemi urbani italiani siano sottocapitalizzati e senza governo, e che ciò costituisca l'esito di un'avvenuta rivoluzione territoriale e di una mancata rivoluzione istituzionale. A fronte quindi di processi spontanei di trasformazione del territorio, della sua economia e società, Calafati riconosce una sostanziale incapacità culturale, politica e istituzionale, di governare la traiettoria di sviluppo spaziale, la più intensa della storia italiana.

La struttura narrativa utilizzata da Calafati è quella del racconto, il racconto di un viaggio che parte dall'Europa, dai processi di radicale internazionalizzazione della sua economia (cap. 1 Internazionalizzazione e lealtà territoriale), e dalle strategie che le città europee hanno attivato per cercare di attrarre entro i propri confini attività di produzione e scambio di beni immateriali e materiali differenziando il proprio spazio fisico, relazionale e istituzionale (cap. 2 Città strategiche). In questa cornice quelle europee vengono rappresentate come città "in cerca di economie" mosse dal duplice obiettivo di incrementare la propria capacità di trasformare reddito in benessere collettivo, riducendo i costi sociali e mantenendo un'adeguata capacità di reazione al mutamento del contesto attraverso innovazioni e investimenti. Il viaggio continua attraverso l'Italia, rileggendo quei processi di ri-organizzazione territoriale che dagli anni cinquanta hanno investito il nostro paese, provocando fenomeni di "coalescenza territoriale senza coalescenza istituzionale" (cap. 3 Una "rivoluzione territoriale"). Tali fenomeni sembrano avere opposto resistenza al loro riconoscimento, interpretazione e concettualizzazione: una sorta di blocco cognitivo che ha investito molti campi del sapere tra i quali anche l'economia, risultata incapace di compiere indagini sul campo e di rendersi conto che in Italia una parte importante dei sistemi urbani di cui tanto si parla è composta di città incomplete, città disperse, città in nuce, ma comunque città (cap. 4 Città in nuce in Italia). Alla mancata comprensione dei fenomeni territoriali che hanno portato a organizzazioni insediative inedite e del fatto che molto spesso in Italia il locale s'identifica con l'urbano, si è aggiunto il mancato adeguamento delle istituzioni formali che regolano le dinamiche territoriali: una sorta di stallo istituzionale esito di un'ipotesi anche esplicitamente formulata, secondo la quale lasciando il governo delle trasformazioni territoriali alla poliarchia sarebbe emerso uno stato del mondo desiderabile. (cap. 5 Oltre il paradigma territoriale).

Il viaggio iniziato da Calafati in un'Europa capace di interpretare il cambiamento e di cogliere la sfida della competizione internazionale, proseguito in un paese come l'Italia rassegnato invece a lasciare all'autorganizzazione il governo dei più innovativi fenomeni di trasformazione territoriale, alla fine si chiude con un forte invito alla necessità di un progetto di territorio capace di coinvolgere saperi e istituzioni (cap. 6 La ricostruzione delle città italiane). E' un richiamo impegnativo quello che Calafati esercita nei confronti della necessità del progetto, dell'uso consapevole di uno strumento tanto potente in un momento in cui l'attività di progettazione non gli sembra essere più in agenda né della poliarchia che governa il territorio né della comunità scientifica e professionale. Che la ri-costruzione delle città non si collochi più al centro dell'elaborazione intellettuale dell'urbanistica appare a Calafati del tutto singolare in un momento cui in Italia ci troviamo con numerosi sistemi urbani da trasformare in città e non solamente con città da ritoccare, da perfezionare, da migliorare.
Poiché all'origine dei principali disequilibri urbani - siano essi gli elevati costi individuali e sociali della mobilità così come la bassa efficienza energetica dei processi sociali ed economici, l'insufficiente offerta di spazi pubblici per la socializzazione e la ricreazione tanto quanto le condizioni igienico-sanitarie inferiori agli standard - è riconosciuta essere la sottocapitalizzazione delle città italiane, decisivo risulta l'adeguamento della struttura dei sistemi urbani, l'incremento del capitale fisico. Quindi, se il primo passo da compiere verso la definizione di un progetto di sviluppo delle città italiane viene a buona ragione ritenuto il saper vedere e riconoscere nella trama territoriale esistente, la potenzialità delle nuove città, delle città in nuce create dai processi di coalescenza territoriale, il secondo invece, sembra riguardare il superamento dello stallo istituzionale che non permette di trasformare i sistemi locali intercomunali in comunità politiche, di declinare la coalescenza territoriale in termini istituzionali. Così facendo Calafati situa il trattamento della questione urbana contemporaneamente su due diversi terreni: individua il progetto come strumento per far avanzare il miglioramento delle condizioni territoriali riducendo l'inadeguatezza dei sistemi urbani, ma contemporaneamente spinge sul tasto delle riforme istituzionali come requisito fondamentale.

Deve essere chiaro che si tratta di questioni assai differenti e non riducibili l'una all'altra pur se con molti punti di contatto: da un lato viene chiesto di immaginare come migliorare le condizioni di vita che le persone sono effettivamente in grado di condurre nelle nostre città e nei territori che dovrebbero farsi città, dall'altro si richiede uno sforzo per adeguare le istituzioni alle mutate condizioni. Quest'ultimo è sicuramente tema rilevante, tuttavia la questione urbana di cui Calafati ci parla mi sembra fatta principalmente dell'umile materia di cui si compone il nostro vivere, di soggetti, corpi, persone che quotidianamente agiscono e svolgono pratiche individuali e collettive, e che per fare ciò richiedono spazi migliori, luoghi che li aiutino a essere cittadini. E' di questo che Calafati ci sollecita e sprona a occuparci, dei concreti miglioramenti che dovremmo essere in grado di apportare ai nostri territori, alla società che li abita e all'economia che in essi si svolge. Così come tutti i viaggi, anche quello compiuto attraverso questo libro solleva molti interrogativi, rendendolo per questa via un prezioso stimolo per la ricerca e l'esplorazione progettuale. Una questione tra le tante mi sembra però dirimente: forse non sarà l'aver troppo a lungo praticato un'incessante ricerca di istituzioni e norme adeguate ad aver diminuito la nostra sensibilità nel rilevare e nel trattare i mutamenti dei fenomeni territoriali, trascinandoci impreparati oggi di fronte ad una nuova questione urbana?

Maria Chiara Tosi

Maria Chiara Tosi
è urbanista e docente di Urbanistica all'Università IUAV di Venezia. Ha insegnato anche presso l'Università di Trento e di Catania-Siracusa. Ha partecipato a diverse ricerche universitarie (The transformation of the urban habitat in Europe; Itaten; Returb. I futuri della città; Dispersione europea), attualmente si dedica allo studio della dimensione fisica delle politiche di welfare ed è responsabile scientifico dell'Osservatorio sul Territorio del Delta del Po. Ha pubblicato saggi su libri e riviste internazionali. Tra i suoi libri: Di cosa parliamo quando parliamo di urbanistica (Meltemi, Roma, 2006), e con S. Munarin, Tracce di città (Franco Angeli, Roma, 2001). 


 

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