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IBIDEM no.1 | Editoriali | Scrivere di libri (in campo urbano)
Cristina Bianchetti
Ho sempre letto recensioni, segnalazioni, risvolti di copertina. E da lungo tempo mi occupo della letteratura in campo urbanistico e architettonico, scrivendo recensioni, segnalazioni, quarte di copertina. Poco più di 100 recensioni e poco meno di 340 schede che nel linguaggio de L’Indice sono recensioni brevi di 1500 o 2000 caratteri. Un lavoro che si è svolto dapprima continuativamente su Urbanistica e Casabella e poi su Domus, quando vi lavorava Gianmario Andreani, sofisticato, rigidissimo curatore della sezione dedicata ai libri. Filosofo di formazione. Vicinissimo alla proprietà della rivista. Meno ai direttori che la proprietà voleva. Capace di sagaci e sorprendenti giudizi che si potevano solo condividere fino in fondo o negare rifiutando la recensione. Con un campo di apertura internazionale coerente alle ambizioni della rivista.
Dal 1998 curo la sezione città e architettura per L’Indice dei libri del mese, rivista fondata nell’ottobre 1984 da Giangiacomo Migone, Cesare Cases e da un gruppo di intellettuali torinesi. Una delle poche riviste di informazione culturale sopravvissute e oggi impegnata, nel mezzo di una crisi fortissima che coinvolge il mercato editoriale, a discutere di libri documentando la produzione (qui rigorosamente italiana) attraverso recensioni, schede, rubriche, interviste e interventi. Da questa angolazione cercherò di fissare qualche idea, schematica e poco organizzata, sul significato di un esercizio di lettura e scrittura nelle nostre discipline, da assumere come avvio di una discussione che ibidem vuole promuovere.
LA SPECIFICITA' DEL CAMPO
Parlare di libri in campo urbano e architettonico ha naturalmente una sua specificità. Che non è solo in ciò di cui i libri trattano, ma dei modi di una produzione editoriale in larga parte orientata da attenzioni per così dire accademiche. Nulla di male, ma è difficile che questi orientamenti incrocino in modo virtuoso il fronte della ricerca e le stesse dinamiche del mercato. Definiscono piuttosto nicchie protette ad uso di pochi (principalmente autori e valutatori). Vale poco occuparsene e conferma il fatto che uno dei primi problemi delle recensioni nel nostro campo è quello di selezionare ciò cui dare attenzione. Anche se quantitativamente questo segmento della produzione pesa, drena risorse, e costruisce carriere. Sempre meno oggi, per motivi che è facile intuire.
Fino a poco tempo fa, la produzione saggistica in campo urbano è stata abbondante, in buona parte del tipo sopra richiamato, e ha tenuto in vita numerosi piccoli editori. Benché la divisione tra grandi, medi e piccoli editori (che qui riprendo) renda opache realtà molto differenti, entro una situazione che è rallentata dalla crisi, ma per nulla ferma. Dinamiche differenti attraversano i grandi editori più o meno in buona salute (che sono grandi anche in riferimento all’architettura e l’urbanistica, come Einaudi, Laterza, Electa, Skira, con in catalogo collane ben collaudate, alcune delle quali confidano in una quota di mercato istituzionale). Altri editori stanno cambiando profilo (esemplare Quodlibet, di nicchia e con una produzione di alta qualità, che via via ha occupato in campo urbano lo spazio lasciato da piccoli editori d’assalto non sopravvissuti, e anch’essa in competizione sul segmento accademico). I profili virtuosi si riconoscono in qualche incontro fortunato: Anthony Vidler, pubblicato da Zandonai, è significativo di percorsi non scontati. Accanto, la produzione non italiana (quasi tutta in lingua inglese) che si affianca senza la necessità dell’essere tradotta. A volte gemma, marchi locali che si avvalgono dei legami con l’editore-madre e intercettano anch’essi principalmente la produzione accademica che attraverso l’espediente linguistico tenta di acquisire maggiore visibilità. Questa mobilità di produzione e profili avviene su una contrazione generale del mercato che l’Associazione editori italiani registra ormai da mesi. Un calo quasi del 9% nei primi otto mesi del 2012 è significativo di una contrazione molto dura che si accompagna ad una ‘mutazione genetica’ della filiera della distribuzione, con la chiusura di librerie indipendenti e il prevalere delle grandi librerie di proprietà di gruppi editoriali rilevanti. A segnare un vantaggio delle concentrazioni che falsa qualsiasi concorrenza (e l’Antitrust che chiede paradossalmente di abrogare la legge sul tetto agli sconti, così da avvantaggiare, di nuovo, coloro che grazie alle filiere interne possono risparmiare sui costi di promozione, distribuzione e libreria, praticando appunto gli sconti che ai più sono impossibili).
PROFILO CIVILE
Le condizioni strutturali, sono al centro di qualsiasi discussione sui libri. Non sono ai margini. Ed è dentro queste dinamiche per molti aspetti perverse che è ancor più importante tenere aperta una discussione critica sui libri che parlano di città, di territorio e dei saperi (molti) che hanno a che fare con essi. C’è un profilo civile da difendere nell’esercizio di un giudizio critico che non può essere lasciato al mercato o ai codici, alle norme, ai parametri (qualche volta incomprensibili) delle valutazioni accademiche. La recensione è parte perspicua dell’attività di ricerca. Non un divertissement culturale, una sorta di sofisticato gioco di società. Questo senso della rilevanza critica della recensione è cruciale. Ha strettamente a che fare con quel che riusciamo a dire attorno alla città e ai suoi problemi. Ha a che fare con il rilievo dei nostri saperi. Bisogna difendere un esercizio (che nelle valutazioni conta poco) e difenderne non tanto i modi (il fatto di scegliere, prendere posizione, essere parziali, peraltro inevitabile). Quanto il fatto che in questa particolare pratica ciò che si fa è sviluppare un discorso sul presente dei nostri studi. Scrivere di libri è essere ossessionati dal presente. Avvertire che il destino delle nostre tradizioni di lavoro si gioca oggi. Interrogarsi sul modo in cui la letteratura disciplinare si misura con il cambiamento delle condizioni con il quale la città stessa si misura.
MA COME PARLARE DI LIBRI?
La definitiva sparizione della critica strutturalista e della discussione metodologica avvenuta negli anni 80 (anche nel nostro campo) e la confusione delle discussioni sul postmoderno ci hanno riconsegnato il problema di quale uso fare di orientamenti e coordinate che possano aiutare a costruire un giudizio critico. Nel pieno della stagione teorica e metodologica degli anni 80, Cesare Cases scriveva una celebre raccomandazione ai recensori che apriva la storia de L’Indice per dire quel che una recensione, a suo parere, doveva fare. Articolava alcuni punti che qui riassumo brevemente, utilizzando le sue parole: i.) scrivere in modo chiaro evitando concettualizzazioni troppo specialistiche o false, evitando viluppi sintattici poco perspicui; ii.) tenere distanza con il saggio che è altra cosa, implica una connivenza del lettore, si rivolge agli happy few culturalmente informati, si permette allusioni e ammiccamenti, può divagare per introdurre considerazioni soggettive che si suppone riscuotano l’interesse del lettore anche se non c’entrano molto con l'argomento; iii.) non ignorare quel che c’è dietro il libro e che in un’opera di carattere non creativo è generalmente già esplicitato nell’opera stessa, sicché viene d’obbligo di riferirne; iv.) si può dissentire dall’autore nel valutare il rapporto tra la sua opera e il contesto in cui si situa. Lo sfasamento tra intenzioni e risultati sta solitamente al centro della valutazione, tenendo peraltro presente che volendo operare una selezione nell’attuale sovrabbondante produzione libraria (Cases scriveva nel 1984), almeno le recensioni, se non le schede, dovrebbero essere di regola positive e la critica una ‘critique des beautés’. Ciò non significa che quando si vuole statuire un esempio, cioè quando si ritiene un libro molto rappresentativo per una tendenza deteriore o per lo scadimento degli studi o per la mercificazione della scienza, non si possa eccezionalmente alzare la mannaia; v.) la disposizione di una recensione va lasciata beninteso all’arbitrio del recensore, che saprà lui se cominciare con l’esposizione del contenuto del libro o dello stato della questione oppure con considerazioni generali sulla malignità dei tempi e l’impotenza della scienza (nel qual caso si cadrebbe nella recensione saggistica). L’essenziale è che il primo momento, cioè l’esposizione del contenuto, abbia la centralità che gli spetta. La connivenza con il lettore non dovendo stabilirsi, come abbiamo visto, né attraverso l’interesse specialistico né attraverso lusinghe formali, è solo il contenuto a determinarla. In principio fu il riassunto. Anche qui i tipi di riassunto possibili, purché siano chiari, sono infiniti e non vogliamo precluderne nessuno. Ma l’essenziale è che attraverso l’esposizione il lettore acquisisca una chiara idea di quel che il libro è e delle ragioni della sua importanza, ragioni che hanno fatto sì che lo scegliessimo a differenza di altri.
CHIAREZZA E RISCHI
Oggi si è perso il senso della polemica quasi illuministica a favore della chiarezza che fa schierare Cases contro il vecchio amico e compagno Fortini, del quale condivideva l’angolazione della critica marxista, l’amore per Lukács e molto altro. Fortini, allora impegnato nella polemica con Parise che ne accusava il tono oscuro della critica, stigmatizzandolo come profondamente antidemocratico. Quel che rimane delle vecchie polemiche e delle vecchie raccomandazioni è il dovere di chiarezza come assunzione di responsabilità di chi scrive. Un filo che attraversa altre ‘raccomandazioni’. Massimo Onofri ha dedicato un intero libro alla recensione, nel quale tratta anche delle raccomandazioni di Cases. Alfonso Berardinelli aggiunge le sue. Si potrebbe continuare in un gioco di rimandi incrociati che divergono per molti aspetti, ma concordano nel disconoscere una ipotetica lettura/scrittura corretta. Laddove, ci dicono tutti, le letture reali sono sempre parziali, difettose, utilitaristiche, sperimentali. Ma questa cosa è vera anche quando si applica ad un campo pratico e poco strutturato come quello degli studi urbani (con buona pace per i manuali e i manifesti che tornano ad affollare le nostre librerie)? Farsi travolgere dalla ‘percezione intensificata’, per usare le parole di Susan Sontag, ha qualche senso quando si tratta di saggi, rapporti etnografici, ricostruzioni storiche? Fino a che punto noi possiamo essere utilitaristici e parziali? Questo è il punto. Ovvero (e più semplicemente) il punto è capire cosa è una recensione in campo urbano. Senza alcuna pretesa di procedere in questa direzione, a me pare si finisca con il riconoscere ragionevolmente che la scrittura sui libri è innanzitutto una forma appassionata e ondivaga di lettura. Curiosa e capace di ammirazione, ma anche distratta, interrotta, pronta a seguire l’accavallarsi delle idee. Un’attività di ricerca con una buona dose di rischio.
Cristina Bianchetti
DIST - Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio
Politecnico di Torino, Torino, Italy
E-mail: cristina.bianchetti@polito.it
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