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Abstract dell'intervento conclusivo di Giancarlo De Carlo in occasione della conferenza "I film e la rivista di Giancarlo De Carlo in rete su Planum.net"
Giovedì 27 Febbraio, 2003
Palazzo della Triennale, Milano
Andrea Di Giovanni (a cura di)
A distanza di diversi anni, rivedendo i film, ne sono piuttosto soddisfatto. Ne avevo un ricordo vago e li ritenevo superati. Oggi ne riscontro le lacune, dovute a ingenuità e sdegno che però valuto positivamente e considero con interesse, a distanza di 50 anni, in un'epoca in cui lo sdegno è diventato piuttosto raro. Questa la cosa più interessante dei tre film (presentati da Leonardo Ciacci durante la serata e nella sezione "archive/movies" di Planum ndr). Diversi fra loro in virtù del contribuito fornito dai diversi autori che hanno discusso e condiviso l'impostazione generale dei tre film e curato singolarmente ciascuno di essi.
Il primo è curato in particolare da Carlo Doglio che ne ha seguito direttamente le riprese nell'Italia meridionale. Un film che consideravo troppo connotato sociologicamente e piuttosto noioso, ma che rivisto oggi consente di riscontrare la completa perdita di ogni traccia dell'Italia documentata in quel filmato e di riflettere retrospettivamente sul grado concreto di realizzazione delle trasformazioni insediative e sociali auspicate in quel filmato, ovvero sul percorso compiuto nel corso di mezzo secolo per muovere dalla situazione descritta verso quella odierna. Forse un altro film girato oggi negli stessi luoghi, descrivendo contenuti ed entità dei cambiamenti intervenuti nello spazio fisico e nella vita associata (di cui probabilmente si è persa ogni traccia), consentirebbe di misurare lo scarto fra gli estremi del percorso e di riflettere criticamente sui momenti topici della modificazione.
Anche nel secondo film è percepibile lo scarto determinato dal cambiamento intervenuto - questa volta nella città - nel corso di cinquant'anni. Allora, discutendone con Elio Vittorini e con il regista Gandin, si rese necessario girare le scene di congestione rappresentate nel film in Piazza del Duomo per trovare le condizioni di congestione ricercate: ed anche nel centro della città la congestione era difficilmente riscontrabile. Immaginando la congestione come fenomeno virulento - benché non ai livelli odierni - si stentava, allora, a trovare situazioni corrispondenti al nostro immaginario di autori. La congestione nel film è creata dal passaggio dei tram (peraltro non così frequente) e dalla concitazione della musica poiché le automobili erano rarissime. Anche gli altri episodi del film sono "curiosi". La disperazione (ancora presente e forse più acuta) allora era stata enfatizzata da Elio Vittorini che amava le iperboli narrative. La signora sul marciapiede qualificata come "donna di ventura": alla prima visione del film la signora identificata come una prostituta suscitò l'indignazione dell'allora presidente della Triennale Lombardo, esponente importante del governo che affermava l'inutilizzabilità di "certe parole" in pubblico. A fronte di questo episodio si rese necessaria la modificazione del film per evitarne l'assurda censura. In questo film si percepisce chiaramente l'amore di Vittorini per la città: la sua visione positiva della città, restituita in maniera emblematica nell'ultima scena del film in cui l'uomo che esce sul ballatoio con la tromba, è il frutto di una conoscenza ravvicinata della città e di ciò che in essa succede.
Del terzo film mi sono occupato direttamente io poiché era necessaria un'anima cattiva nei confronti degli architetti e degli urbanisti per fare quel terzo film. Aiutato dallo spiccato talento teatrale di Billa Peroni Zanuso, il film ha fatto molto clamore insieme a tutta la mostra sull'urbanistica del 1954 di cui il film faceva parte. Una mostra importante e da riconsiderare. Il film suscitò una tale ira fra architetti ed urbanisti italiani di cui non ho memoria in altre circostanze, contribuendo ad alimentare l'avversione dell'accademia nei miei confronti, determinata a non ammettermi tra le sue fila a causa delle mie posizioni eterodosse e imbarazzanti. Ognuno dei miei più accaniti detrattori accademici, stranamente, si riconosceva in uno dei tre personaggi del film: Astengo, uomo piuttosto ingenuo e disarmato, fu identificato nello scientifico, benché alcuni sostenessero che il personaggio più simile ad Astengo era l'ingegnere che lavora al castello. Scarpa, lontano da ogni pensiero degli autori, era assimilato al primo personaggio: l'artista. Ognuno sospettava di essere il corrispondente nella realtà del personaggio descritto nella finzione narrativa del film. Senza fondamento però, poiché, come avviene nei romanzi, i personaggi hanno solo dei riferimenti con le persone reali conosciute dall'autore e che popolano la società, senza tuttavia coincidere pienamente con nessuna di esse. Nessun riferimento a persone dunque, la rilevanza del film risiedeva piuttosto nella rappresentazione di tre atteggiamenti "inconcludenti" dell'urbanistica di quegli anni. Tre atteggiamenti che tendevano alla specializzazione, espungendo dalla propria attenzione i problemi più urgenti e reali della società.
Rivedendo i tre film, dunque, si mescolano sentimenti di soddisfazione per il lavoro compiuto e di rimpianto per non essersi spinti oltre, dicendo più di quanto si disse allora, per non aver più tempo per aggiungere altro. Ma i film vanno presi così, considerati per quanto hanno detto allora intervenendo e sollecitando il dibattito nella fase storica e culturale in cui si inserivano. Probabilmente non si può chiedere loro di più.
Allora forse questi film possono avere un significato per le generazioni più giovani, indicando loro un percorso compiuto e non ancora concluso, poiché ancora ci confrontiamo con i problemi selezionati e proposti all'attenzione da ciascuno dei film. [...]
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