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I MIGRANTI MAPPANO L'EUROPA
MIGRANTS MAPPING EUROPE
Bologna: interpretare le mappe
Nausicaa Pezzoni
BEYOND THE INABILITY OF A CONTINENT
Questioned about its welcoming policy which is dramatically showing the weakness of a community project reluctant to include the other than itself, Europe is called upon to reconsider its identity to fulfill the idea of plurality on which it was founded.
Barriers of barbed wire, of police task forces, of control and containment devices, are erected as walls against the epochal migration flow. These boundaries are constantly pulled down by the impetus of poverty and war pressure. Barriers deny the dynamism of a territory whose geography has been reshaped several times, even in recent history, by its shifting borders; furthermore, they refuse the mobility of populations in a globalized world which movement is the nature of time.
Barriers overshadow the raison d'etre of the continent that has been derived its "multiple unity" from cultural contamination generated by crossings. By denying what fundamentally features its identity and its present time, Europe is in danger of closing in on itself, seeing itself as a fortress, instead of thinking itself as a project of habitability whose conditions have been the premise and purpose of its formation.
These series of articles contributes to constructing an image and a project of the European territories beyond the boundaries of geographical and cultural identity, tied to a representation of itself excluding what has not already been included.
These articles offer an explorative path aimed at opening a dialogue with the immigrants, from the planner and territorial researcher's point of view, who might become a truly active and creative voice in giving shape and thought to our present time.
10 | BOLOGNA: INTERPRETARE LE MAPPE
Nonostante l'omogeneità del punto d'osservazione, le immagini che emergono dalle mappe raccontano città sorprendentemente diversificate. Il solo elemento ricorrente coincide con la Villa Aldini che compare in tutte le rappresentazioni; mentre i percorsi, i luoghi di riferimento identificati, la struttura della città e il linguaggio stesso del disegno mostrano differenze tali da poter affermare che il progetto di mappatura di Bologna è quello che, fra le tre città esplorate, rivela complessivamente il più alto grado di elaborazione.
Come nel caso di Rovereto, anche a Bologna l'immagine della città è organizzata secondo due logiche principali: quella di uno spazio urbano definito da un perimetro e quella di un territorio diffuso in cui compaiono gli elementi principali di relazione con esso. A Bologna tuttavia questa classificazione si fa più articolata: le città definite da un perimetro si dividono tra quelle completamente delimitate da un quadrilatero e quelle in cui a un'immagine prevalente racchiusa in un poligono si accompagnano altri elementi collocati al di fuori di questo. Anche le città rappresentate come un paesaggio diffuso si differenziano tra quelle i cui elementi sono collegati da percorsi e quelle che presentano oggetti urbani disposti nello spazio senza connessioni apparenti.
A loro volta le mappe che riportano i percorsi si distinguono tra quelle che mostrano le connessioni tra i principali riferimenti di Bologna, e quelle che rappresentano esclusivamente le traiettorie quotidiane di chi sta disegnando; mentre tra le mappe connotate da un perimetro, alcune tentano di riprodurre la morfologia urbana, con un'attenta analisi della struttura radiale della città, altre invece racchiudono tra confini, in una disposizione apparentemente casuale, gli elementi più significativi del vivere quel territorio.
11 | ABITARE LA DISTANZA
Il grado di diversificazione delle mappe aumenta via via che l'analisi si fa di grana più fine e che le differenti angolature da cui viene osservata la città lasciano affiorare il loro specifico punto di vista. L'operazione di sintesi che occorre sviluppare nell'economia di questo articolo induce a scegliere una determinata prospettiva attraverso cui leggere la geografia del primo approdo narrata dalle mappe di Bologna. Villa Aldini, il comune luogo dell'abitare che coincide, come specificato in apertura, con una condizione condivisa di temporaneità e di attesa rispetto alla relazione col territorio d'approdo, e che nel contesto del festival corrispondeva anche al luogo in cui si è svolto il laboratorio, offre il punto di vista privilegiato da cui osservare la città osservata dai migranti.
Fra i cinque elementi che hanno guidato la rappresentazione, due sono quelli che compaiono in tutte le mappe: Piazza Maggiore, spesso accompagnata dal riferimento principale della città identificato nella fontana del Nettuno, e Villa Aldini. Nella mappa più essenziale, quella di Sarjo Wally, questi elementi sono l'intera città: con un accurato uso del colore, il palazzo comunale e la fontana del Nettuno sono accostate a Villa Aldini che domina il campo con una forma astratta da cui sembrano affiorare le molteplici presenze che la abitano. Elemento principale della rappresentazione, così come in altre mappe più articolate, Villa Aldini viene descritta con una dimensione predominante rispetto agli altri elementi (mappa di Mahamadou Sissakg), oppure con un grado di definizione maggiore (mappa di Arif Noman) o con una precisa connotazione coloristica (mappe di Lamin Gassama e di Aliou Bah), ma senza mai occupare la parte centrale del foglio.
Nelle immagini di città definite da un perimetro, Villa Aldini è sempre collocata lungo i suoi limiti o al di fuori di questi: e se nelle mappe che riproducono la morfologia urbana come quelle di Aliou Bah e di Idrissa Balde, questa scelta sembra rispondere all'effettiva ubicazione della Villa al di fuori della città storica, nelle mappe più astratte la posizione marginale della casa parla di un decentramento, quando non di un isolamento, del luogo dell'abitare rispetto a tutti gli altri luoghi conosciuti e frequentati della città. Un decentramento che viene sottolineato dalla quantità e dalla tortuosità dei percorsi per raggiungere qualsiasi altro luogo, e che in una mappa viene ulteriormente accentuato dalla connotazione che assume l'elemento del confine: un tracciato in un colore diverso da quello usato per tutti gli altri percorsi, accompagnato dalla scritta "Io ho paura di perdermi". Nel disegno di Salimou Diaby, Villa Aldini è l'origine di vari percorsi: quello segnalato come confine collega la Villa alla Questura: dove perdersi, per chi è in attesa dei documenti, significa rischiare di venir fermato dalle forze dell'ordine e di essere espulso per sempre dalla città d'approdo [6].
Nella mappa di Madiga Sacko la Villa è un luogo escluso dalla città; uno spesso contorno colorato racchiude i riferimenti urbani principali: le due Torri, la piazza Maggiore con il Nettuno, il Comune, i giardini della Montagnola e i percorsi tra questi elementi, mentre la stazione con i treni che circolano intono al perimetro e la Villa Aldini posta in un angolo appena al di fuori di questo, sembrano essere, insieme all'ospedale, gli oggetti che la città ha espulso dal suo centro vitale. Un'esclusione evidenziata dal segno lasciato a matita, che contrasta con i colori usati per gli altri elementi e in particolare per il vicino Ospedale Maggiore.
Ma è nelle mappe prive di contorno che la posizione decentrata di Villa Aldini dice di più di quanto il disegno stesso non faccia vedere. Collocata sempre a un'estremità del foglio, e in due casi talmente a margine da lasciare fuori campo un pezzo di definizione (mappe di Lalo Gassama e di Diakite Abu Dramane), questo luogo dell'abitare condiviso e temporaneo è il punto di partenza (nella mappa di Jasim la direzionalità dei percorsi da Villa Aldini verso tutti gli altri luoghi è indicata con piccole frecce) o una delle estremità di tutte le connessioni. In un caso sembra rappresentare un vero e proprio approdo: la narrazione tracciata da Lamin Gassama inizia con il Centro Mattei [7] e si dispiega lungo un paesaggio costellato di forme che sembrano oasi, soste lungo quello che appare come un sentiero che scavalca le colline, territorio di Bologna o di altri attraversamenti: qui, sono i giardini Margherita, identificati come nodo, luogo di incontro per molti dei partecipanti al progetto; è il Parco Montagnola, riconosciuto invece come confine nell'accezione di luogo pericoloso, come in altre sei mappe; è la piazza Maggiore, il riferimento principale del centro urbano; è la scuola Caboral, un altro nodo, dove molti migranti frequentano i corsi di italiano; ed è infine Villa Aldini, alla conclusione del viaggio, che assume le sembianze di un castello.
Punto d'approdo o da cui ripartire, il luogo scelto come lente attraverso cui guardare le mappe di Bologna diviene emblema di quell'abitare la distanza che contraddistingue la condizione dei migranti e con cui in generale può essere descritta la contemporaneità [8]. Esso narra, per l'importanza che assume in ogni mappa e nello stesso tempo per la sua singolare estraneità al contesto rappresentato, la discontinuità, lo scarto che segnano un modo di relazionarsi all'ambiente privo della fissità e della centralità con cui si è soliti identificarsi con i "propri" luoghi.
La collocazione fuori campo del luogo dell'abitare che emerge da queste mappe, racconta in definitiva un territorio che si dà come ospitale, che diviene abitabile, nella misura paradossale in cui appropriarsene implica un decentramento, ovvero dove il senso di appartenenza si costruisce nella consapevolezza di quella marginalità, di quello sradicamento che è la condizione d'un'apertura necessaria affinché l'incontro con l'altro possa avvenire.
NOTE
[6] Questa accezione del confine compare anche in altre mappe: Jasim scrive "Dietro alla stazione non vado perché ho paura di perdermi paura della polizia perché non ho i documenti."
[7] Si tratta dell'ex Cie (Centro di identificazione e di espulsione) di via Mattei, trasformato nel 2014 in un hub di prima accoglienza per i migranti. Con questa trasformazione Bologna è stata la prima città in Italia in cui si sia sperimentato un nuovo sistema di accoglienza.
[8] In campo filosofico, la locuzione abitare la distanza è stata introdotta da Rovatti per descrivere una condizione paradossale dell'umano, quella di essere contemporaneamente dentro e fuori, di aver bisogno di un luogo, di una casa dove 'stare' , e di cercare al contempo un fuori, una distanza, un'alterità. "La frase abitare la distanza suggerisce qualcosa come un'instabilità? Uno scarto tra l'essere da qualche parte, presso qualcosa o qualcuno, e il non esserci davvero? Suggerisce, forse, in un movimento che potrebbe diventare abissale, che il dimorare è proprio il riuscire a stare in tale scarto e che solo in questo modo – una specie di esilio da casa propria – possiamo ospitare l'altro?" (Rovatti P. A., 2007, Abitare la distanza. Per una pratica della filosofia, Raffaello Cortina, Milano, p. XXX.
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