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I MIGRANTI MAPPANO L'EUROPA
MIGRANTS MAPPING EUROPE
Città d'approdo: Rovereto
Nausicaa Pezzoni
BEYOND THE INABILITY OF A CONTINENT
Questioned about its welcoming policy which is dramatically showing the weakness of a community project reluctant to include the other than itself, Europe is called upon to reconsider its identity to fulfill the idea of plurality on which it was founded.
Barriers of barbed wire, of police task forces, of control and containment devices, are erected as walls against the epochal migration flow. These boundaries are constantly pulled down by the impetus of poverty and war pressure. Barriers deny the dynamism of a territory whose geography has been reshaped several times, even in recent history, by its shifting borders; furthermore, they refuse the mobility of populations in a globalized world which movement is the nature of time.
Barriers overshadow the raison d'etre of the continent that has been derived its "multiple unity" from cultural contamination generated by crossings. By denying what fundamentally features its identity and its present time, Europe is in danger of closing in on itself, seeing itself as a fortress, instead of thinking itself as a project of habitability whose conditions have been the premise and purpose of its formation.
These series of articles contributes to constructing an image and a project of the European territories beyond the boundaries of geographical and cultural identity, tied to a representation of itself excluding what has not already been included.
These articles offer an explorative path aimed at opening a dialogue with the immigrants, from the planner and territorial researcher's point of view, who might become a truly active and creative voice in giving shape and thought to our present time.
4 | CITTÀ D'APPRODO
L'esplorazione condotta su Milano ha aperto nuove questioni, potenziali prospettive di lavoro che ciascuno degli aspetti mobilitati dall'esperimento sollecita: i soggetti dell'indagine, che chiamano a una riflessione su un pensiero progettuale, quale è quello apportato dai migranti, svincolato dall'identificazione con il contesto e improntato alla scoperta di un'alterità che è generativa di un nuovo tipo di relazioni; i modi di dar voce allo sguardo sradicato, e dunque la valenza politica di un metodo in cui l'estraneità è posta su un piano di uguaglianza e dove la gerarchia osservatore-osservato viene meno; gli spazi rappresentati, che inducono a un approfondimento su aspetti di natura progettuale per un territorio che voglia diventare abitabile da tutti. Questioni che hanno innescato nuove esplorazioni, volte ad allargare e approfondire ulteriormente un tema ancora poco frequentato in urbanistica seppur di grande attualità, come quello della relazione instabile e in continua evoluzione tra la città e le popolazioni temporanee che sempre più diffusamente la stanno abitando.
Il progetto che presenterò di seguito si inscrive nel solco di queste esplorazioni, avendo come sfondo una crisi migratoria di proporzioni enormi, impensabili fino a pochi anni fa; mappare le città d'approdo significa in questo contesto anche gettare un ponte tra le popolazioni in arrivo e il territorio che le ospita o che le vede passare. Un gesto che implica sempre una reciprocità e una finalità conoscitiva: nel dialogo che la rappresentazione della mappa stabilisce tra lo sguardo dei migranti e il sapere esperto, si produce un terreno di conoscenza che è l'esito di una narrazione di qualcosa di non conosciuto per entrambi, che si rivela proprio attraverso l'atto del rappresentare. Lo scenario che si apre è quello di una duplice scoperta, ovvero della possibilità di accedere al piano non ancora pensato di una città in divenire, che si dispiega generando, per il migrante, consapevolezza dello spazio vissuto, e per il ricercatore conoscenza di una realtà inesplorata.
La ricerca, che ha avuto come primo campo di esplorazione Milano, coinvolge ora due nuove realtà urbane, Bologna e Rovereto (TN), osservate e mappate da un punto di vista particolare: quello dei migranti sbarcati a Lampedusa nella primavera ed estate 2015 e inviati, attraverso il piano di 'distribuzione delle quote' [7] fra le regioni italiane, nelle due città.
Abitanti transitori di una città che quasi mai corrisponde a quella scelta come destinazione del viaggio migratorio, le persone intervistate in questa fase del progetto (21 a Bologna, 22 a Rovereto) rappresentano un campione eterogeneo per provenienza, ma omogeneo per la specificità spazio-temporale del punto di vista con cui osservano la città. Il tempo di permanenza sul territorio d'approdo - dai tre ai sei mesi al momento dell'intervista - così come la sistemazione temporanea del luogo dell'abitare - un campo profughi a Rovereto, una casa d'accoglienza per richiedenti asilo a Bologna - collocano i migranti coinvolti nel progetto in una condizione di instabilità e di estraneità che li accomuna rispetto all'esperienza e allo sguardo con cui ciascuno di essi si rapporta alla città.
Il metodo con cui sono state condotte le interviste è lo stesso sperimentato a Milano, ma mentre lì il campione è stato composto cercando gli intervistati in diversi luoghi di primo accesso alla città, a Rovereto e a Bologna i partecipanti erano stati precedentemente selezionati da alcune associazioni nell'ambito di manifestazioni culturali dedicate ai migranti, all'interno delle quali mi è stato chiesto di introdurre il progetto di mappatura della città.
5 | "ABITARE SENZA ABITUDINE" A ROVERETO
A Rovereto il Centro Informativo per l'immigrazione (Cinformi) [8] e l'associazione Architetti Senza Frontiere hanno organizzato nel mese di luglio 2015 un ciclo di incontri con un gruppo di immigrati frequentanti la scuola di italiano gestita appunto da Cinformi, con l'obiettivo di avviare un percorso di conoscenza del territorio che li coinvolgesse attivamente. Il titolo del progetto, "Abitare senza abitudine", è stato tratto da La città sradicata [9], ed è al metodo introdotto e praticato a Milano che si è fatto riferimento.
Il programma prevedeva quattro incontri: due laboratori di rappresentazione della città alternati a un itinerario conoscitivo sul territorio, e un incontro pubblico conclusivo di presentazione del progetto alla cittadinanza.
Quando sono arrivata a Rovereto per condurre il primo laboratorio, una ventina di giovani immigrati per lo più africani, tutti uomini, era già radunata nell'aula dell'edifico comunale dove si sarebbero svolti gli incontri. Mentre a Milano le interviste avvenivano sempre in una relazione personale diretta, in cui spiegavo di volta in volta il senso della ricerca e il metodo di lavoro che avremmo seguito declinando le domande in base alla ricettività e alla conoscenza della lingua dell'intervistato [10], qui si trattava di trasmettere in un solo momento collettivo un messaggio che potesse raggiungere ciascuno con precise indicazioni di lavoro. È stato subito evidente che mi trovavo di fronte a un gruppo compatto e allo stesso tempo estremamente eterogeneo per il tipo di comprensione che mostrava. Ho cercato dunque di spiegare con livelli di complessità variabili e in lingue diverse il programma di lavoro: parlando alternativamente italiano e inglese e avvalendomi, con alcuni migranti che non parlavano né italiano né inglese, della traduzione in lingua mandinka [11] da parte di alcuni loro compagni.
A una breve introduzione sugli obiettivi del laboratorio, è seguita l'intervista vera e propria, che si compone di una parte conoscitiva e di una parte di elaborazione della mappa. Nella parte conoscitiva viene chiesto il nome, l'età, il paese di provenienza, il tempo trascorso dall'arrivo nella città d'approdo: sono le informazioni utili a costruire una 'carta d'identità' dell'intervistato, una sorta di nota di accompagnamento della mappa.
Queste informazioni sono state chieste al gruppo e poi spigate singolarmente passando tra i banchi, in modo da innescare un rapporto individuale, seppure in una situazione collettiva. L'intervista comprende anche informazioni, qualora il migrante sia disposto a fornirle, sul percorso migratorio e sulla situazione lavorativa attuale, in modo da poter costruire un quadro più complesso della sua condizione. Non si sofferma invece sulle motivazioni della migrazione, e nemmeno sui vari aspetti dell'abitare nel paese d'origine: l'ipotesi è di portare il migrante direttamente nell'attualità della sua condizione e del rapporto col territorio in cui si trova, in modo da aprire il campo alla riflessione sulla città d'approdo.
Conclusa questa prima parte dell'intervista, è stato illustrato il metodo con cui disegnare la mappa. Le domande sui cinque elementi della città da rappresentare hanno seguito lo schema elaborato ne La città sradicata, e cioè: 1) Riferimenti: i luoghi ritenuti più importanti di Rovereto, che servono per riconoscere la città o per orientarsi; 2) Luoghi dell'abitare: l'abitazione attuale e i luoghi abitati dall'arrivo a Rovereto; 3) Percorsi: gli spostamenti abituali nella città, specificando con quali mezzi di trasporto; 4) Nodi: gli spazi pubblici più frequentati, dove si incontrano altre persone, specificando quali attività vi vengono svolte; 5) Confini: i luoghi off-limits, considerati inaccessibili; quelli dove il migrante non va, o dove pensa di non poter andare o non vorrebbe andare: sono le mura immaginarie della città.
Spiegare questi cinque concetti e chiedere di rappresentarli su un foglio bianco è sempre un salto nel vuoto, lo era stato a Milano con ciascuno dei 100 intervistati, lo è in modo diverso e ancora più intenso con un gruppo di persone che sembra complessivamente non capire che cosa gli si stia chiedendo. Le prime reazioni di disorientamento, incredulità, spesso opposizione alla richiesta di disegnare, inducono tutti i presenti - in quell'occasione migranti, insegnanti di italiano, "architetti senza frontiere" e me stessa – a ritenere impossibile la realizzazione di alcuna mappa. Eppure anche a Rovereto, come a Milano, tutti i migranti coinvolti hanno rappresentato la 'loro' città, producendo quell'improbabile scarto che spinge persone appena arrivate, estranee al contesto geografico, culturale, linguistico in cui si trovano immessi, a disporsi a un'osservazione creativa del territorio, partecipando pienamente a un progetto privo di una finalità dall'evidenza immediata.
NOTE:
[7] Il 10 luglio 2014 il Governo, d'intesa con le Regioni e gli enti locali, ha stipulato un "piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari, adulti, famiglie e minori stranieri non accompagnati" fissando dei criteri per la distribuzione di queste persone sul territorio nazionale: i rifugiati sarebbero stati ricollocati in maniera equilibrata tenendo conto della popolazione, del PIL e del numero di migranti già ospitati da ciascuna regione. Con questo provvedimento, l'Italia ha anticipato il sistema di quote approvato nel maggio 2015 dalla Commissione Europea: un piano che ha ridefinito i principi in base ai quali i 28 stati membri dell'Unione Europea dovranno accogliere gli immigrati richiedenti asilo.
[8] Cinformi - Centro informativo per l'immigrazione - è una unità operativa del Dipartimento Salute e solidarietà sociale della Provincia Autonoma di Trento; la sua mission è quella di facilitare l'accesso dei cittadini stranieri ai servizi pubblici e di offrire informazioni e consulenza sulle modalità di ingresso e soggiorno in Italia nonché supporto linguistico e culturale.
[9] Pezzoni N., 2013, La città sradicata. Geografie dell'abitare contemporaneo. I migranti mappano Milano, O barra O edizioni, p. 341.
[10] Per le modalità con cui sono state realizzate le interviste a Milano si rimanda al paragrafo "Un'inchiesta a più linguaggi", che restituisce le modulazioni dell'approccio seguito e le diverse e imprevedibili risposte degli intervistati (Ivi, p. 139).
[11] Il mandinka è parlato in Africa occidentale da circa 1.300.000 individui, distribuiti tra Gambia (dove è l'idioma più diffuso), Senegal e Guinea Bissau. (Wikipedia).
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