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Urbanistica Nuovo Corso di Laurea

20 | L'insegnamento dell'urbanistica in Italia. Ricucire lo strappo e …andare oltre

Leonardo Ciacci

ENGLISH ABSTRACT |
In 1970, in Venice, at IUAV, the University Institute of Architecture, a new degree in Urban Planning was opened.

The RAI service that announces that innovation in the Italian academic environment, retains in his images faces and voices of the young protagonists (all in their early thirties) recruited by Giovanni Astengo to give life to his new school. Giancarlo Ravasio, the RAI journalist author of the service, asks them ton make explicit the reasons and purposes of the new "degree in urban planning". The climate was that of the political debate of the early 70s and the project of the new degree appears as a mission: to train specialists for the needs of public administrations.
 

 

URBANISTICA NUOVO CORSO DI LAUREA
Director | 
Giancarlo Ravasio
Color | b/n
Duration | 23' 54''
Production | RAI
Duration
 | 46' 20''
Release date | 1971
Review by Leonardo Ciacci








In the list of teachings, many disciplines were completely new for the schools of architecture in Italy, so the opening of the new course was associated to a genuine rift between the well-established approach of urban studies taught in Venice by Joseph Samonà, Carlo and Giancarlo Aymonino de Carlo (to name a few) and the new approach defined by Giovanni Astengo.
The recent history of biggest intervention in urban transformations is known and equally well known is the crisis that has accompanied the teaching and practice of urban planning. Frequent opportunities for "urban design" have shifted the centre of town plan teaching again in the schools of architecture, emptied the schools planning and dispersed the critical richness that produced the spread of that new school in the '70s, from Venice, towards other universities in Italy.
It is again urgent to define the figure of a planner and his role, in front of the new "sustainability" conditions for transformations which are now requested: he can not be any more interpreted as a public servant, a figure set to manage the activities of a local government bureaucracy.
The new potential demand for town and environmental planning requires now an avowal of difficulties produced by the fragility of the original approach of the training scheme for the figure of a designer to be planner and urban designer, than isolated from the cultural tradition of architecture. Where, in the original hypotheses a confidence was reposed in the interpretation of the scientific process, it is necessary now to recover the historical and cultural awareness; where it was thought as possible the acquisition of knowledge of the physical nature of the built spaces with the accuracy of quantitative measurement, it is now necessary to reconsider the importance of a specific qualitative instrumentation and of a creative "design"; where it was thought that political commitment could solve every problem of language and communication between technicians and "users", we must now imagine a new role of action and listening skills, that give the needed utilities to communicative exchange processes.
A document such as that one here presented, is a valuable source of comparison for those who have the task of reorienting the direction to take in the revival and consolidation of a school who has the task of training urban and environmental planners at work in environmental transformations, in times which are crucial for the country's fate. (l.c.)



FULL ARTICLE |
Poche settimane fa, al termine di un incontro a margine della Biennale allora in corso a Venezia, commentando con uno dei più brillanti architetti italiani le condizioni attuali d'azione dell'urbanistica in Italia, è arrivata, efficace, nella conversazione, una di quelle immagini capaci si sintetizzare un intero discorso: "siamo passati da Campos Venuti a Zaha Hadid". Il tono faceva capire: "non sappiamo più che strada prendere". La scena era quella della loggia di Palazzo Ducale, si sentiva sotto il vociare delle migliaia di turisti che invadono quotidianamente la Piazzetta affacciata sul Bacino di San Marco, dove intanto passava lenta, trascinata da un rimorchiatore, una di quelle navi da crociera che quasi quotidianamente testimoniano di quanto sia uscita dal controllo l'amministrazione delle città, in Italia.

L'urbanistica è disciplina "creatrice", aveva scritto nella sua sintesi del 1966 Giovanni Astengo, e intendeva: l'urbanistica è la disciplina cui è demandato il compito di creare le condizioni per lo sviluppo economico e sociale del paese [1]. Due anni dopo, l'amarezza della disillusione; il dover riconoscere per la condizione d'azione dell'urbanista, l'impotenza delle denunce, delle "tigri di carta" [2], la precarietà del "militante disarmato" [3], mosso da passione civile e politica, ma impossibilitato a rompere i limiti di una gestione ignorante e inefficace dell'amministrazione pubblica dello sviluppo urbanistico. Era però solo un prendere la rincorsa, prima della sfida più importante: aprire una scuola per pianificatori, la prima in Italia, capace di formare urbanisti destinati ad occupare in massa gli uffici di comuni, provincie e regioni, con capacità e consapevolezza critica nuova. Ma, soprattutto, urbanisti che fossero lontani dalle ambiguità dell'esercizio professionale dell'architetto-ingegnere-urbanista [4].

Ancora un paio di anni e il progetto prende vita. A Venezia, nel 1970, l'Istituto Universitario di Architettura, lo IUAV, approva infatti l'apertura di un nuovo corso di laurea in Urbanistica, che avrà sede a Pregaziol, un comune alle porte di Treviso [5]. La nuova sede, villa Albrizzi, sarà acquistata con questo scopo dall'Amministrazione Provinciale. Si trattava di una complessa costruzione seicentesca, proprietà dagli eredi dell'esploratore Raimondo Franchetti (1889-1935), uno dei più noti esploratori italiani in Africa, che l'aveva restaurata dopo i danni subiti durante la Prima Guerra, trasformandone il parco in una sorta di piccolo orto botanico; sembrò allora la sede ideale per una scuola di pianificazione. Il servizio RAI che ne racconta la novità nel panorama accademico italiano, conserva nelle sue immagini tutti questi dettagli e mostra i volti e le voci dei giovani protagonisti (tutti poco più che trentenni) chiamati da Astengo a dare vita alla sua nuova scuola. La scena è quella di un consiglio di corso di laurea, in cui tutti si presentano e rispondono alle domande di Giancarlo Ravasio, il giornalista RAI che li incalza perché rendano esplicite la novità, le ragioni e gli scopi della nuova "laurea in urbanistica". Il clima è quello del post '68, del dibattito politico dei primi anni '70 e della determinazione con cui si affronta un progetto che appare al tempo stesso come una missione: formare in pochi anni specialisti destinati al lavoro nelle amministrazioni pubbliche e, sin da subito, proporsi come voce critica, capace di misurare e rendere pubbliche le condizioni di un paese che aveva bisogno di riorientare la direzione del suo sviluppo urbano e territoriale. A impressionare lo spettatore oggi, è però soprattutto l'elenco delle materie insegnate, molte delle quali del tutto nuove nella formazione dei laureati nelle scuole di architettura: dall'economia alla sociologia, alla geografia, antropologia, epistemologia, fotografia, comunicazione, informatica. In una intervista recente Bruno Gabrielli (uno dei giovani docenti di allora) racconta di come andarono le cose nella votazione con la quale il consiglio di Facoltà dell'IUAV approvò l'istituzione del nuovo corso di laurea, con la maggioranza di un solo voto [6]. Carlo Scarpa (in realtà buon amico ed estimatore di Astengo), cui Gabrielli attribuisce quel voto favorevole e decisivo, pare abbia lo abbia giustificato sostenendo l'ovvietà del fatto che "l'urbanistica non centra niente con l'architettura". Quello che si verificò allora fu però un autentico strappo tra l'impostazione ormai consolidata degli studi urbani che nello stesso Istituto associava altrettanto autorevoli, pur se diversi, docenti (Giuseppe Samonà, Carlo Aymonino, Giancarlo De Carlo, per citarne solo alcuni) e le nuove ipotesi di Giovanni Astengo, che della sua convinzione che fosse la figura stessa del progettista di urbanistica a dover essere riformata, aveva fatto una autentica battaglia. Non aveva però convinto del tutto alcuni dei suoi amici più vicini: Campos Venuti preferì accettare un incarico al Politecnico di Milano, rinunciando all'invito di Astengo a far parte della nuova scuola [7]. Lo stesso Marcello Vittorini, che pure accettò di seguire Astengo "nell'avventura di Preganziol", mantenne la sua convinzione che sarebbe stata più utile una modifica interna alle scuole di architettura, piuttosto che una separazione radicale come quella nata nel 1971 [8]. Solo pochi anni dopo, Vittorini si trasferì di nuovo, per insegnare urbanistica alla facoltà di architettura di Napoli. Vista la sofferenza e il conflitto che aveva accompagnato la separazione, nel nuovo corso di laurea non entrarono insegnamenti di storia dell'architettura, né corsi di composizione architettonica o di disegno, mentre nella facoltà di architettura restarono, isolati, due insegnamenti di urbanistica: tra questi il corso di Giancarlo di De Carlo. Nel nuovo corso di laurea, la letteratura di origine francese, prima, poi e quella anglosassone, definitivamente, finirono col sostituire in buona parte la letteratura originata dalla tradizione italiana dell'architettura orientata allo studio e alla progettazione della città.

Solo verso la fine dei suoi anni, nel 1986, quando il suo originale progetto appariva ormai travolto dalla contestazione che i (non più) giovani professori da lui stesso scelti gli avevano opposto e che aveva spostato il centro della formazione del pianificatore urbanista, dal progetto urbanistico agli studi analitici e delle politiche urbane, Astengo decise di recuperare parte di quella tradizione ristampando in una nuova edizione La progettazione urbanistica, il vecchio manuale pubblicato nel 1947 da Luigi Piccinato, che considerava ancora il suo maestro [9]

La storia recente è nota. Le occasioni di "progetto urbano" generate dai molti casi di recupero di intere aree urbane dismesse, in origine destinate alla produzione industriale, riconvertite a scopi residenziali, commerciali e di servizio pubblico, ha di nuovo spostato il centro della progettazione urbanistica nelle scuole di architettura, messo in difficoltà le scuole di pianificazione e disperso in buona misura la ricchezza critica che aveva animato la loro diffusione, da Venezia, in altri atenei in Italia. Nonostante i tentativi di ricavare da questo nuove discusse associazioni (Accademia Urbana) e una nuova legittimazione disciplinare, l'esito dei grandi progetti urbani degli ultimi trent'anni presenta un bilancio sostanzialmente negativo, che si misura soprattutto nella distanza che queste pratiche hanno stabilito tra il ridisegno delle singole parti e il controllo dell'insieme urbano e territoriale [10].

Ma la questione che sembra più urgente ora e per il futuro è di nuovo quella del ruolo e della figura del progettista e del pianificatore urbanista e del suo confronto con le nuove condizioni della trasformazione: l'estendersi della domanda di "sostenibilità", che rende necessaria la condivisione del progetto delle scelte; la trasformazione della committenza, ora in larga misura privata; la perdita di efficacia del linguaggio e degli strumenti della rappresentazione urbanistica, non più in grado di comunicare i loro contenuti; il bisogno di ascolto delle indicazioni che larghi settori della società esprimono in modi ed estensioni prima sconosciute; la necessità di attivare processi e iniziative in forme condivise, piuttosto che normare comportamenti o limitarsi a disegnare figure definite.

L'origine delle scuole di pianificazione urbanistica in Italia ha radici etiche nobili e ha prodotto professionalità nuove, sia nei campi della valutazione ambientale e delle pratiche di piano, che in quello delle politiche territoriali e della gestione urbanistica, che non possono essere disperse. Allo stesso tempo, è innegabile che le situazioni, economica, sociale e dello sviluppo territoriale verso cui l'ipotesi di scuola pensata da Astengo rivolgeva le sue aspettative riformiste, sia del tutto cambiata e richieda una interpretazione nella quale, solo per citarne un aspetto, l'azione pubblica nel progetto delle trasformazioni non sia più considerata esclusiva: l'urbanista-pianificatore non può più essere interpretato come un funzionario pubblico, una figura destinata a gestire l'attività burocratica delle amministrazioni locali. Paradossalmente e anche in conseguenza dell'estensione nuova dell'azione privata nell'ambiente abitato, la nuova situazione coincide con una consapevolezza mai diffusa come ora, della assoluta imprescindibilità della ridefinizione di cosa sia "bene comune", del riconoscimento e della tutela del patrimonio, della gestione del rischio, sociale e ambientale, in una prospettiva non contingente e proiettata nel lungo periodo. Il rapporto tra ambiente ed economia va ridefinito sulla base di un diverso rapporto tra la campagna e la città, tra le tradizioni più antiche e l'eredità recente della modernità. In una parola, mai come ora si sente la necessità di regole e della loro progettazione condivisa e consapevole.

E' alla luce di tutto questo che è tempo di riconoscerne le fragilità della impostazione originaria della formazione e della figura del progettista-pianificatore urbanista. La dove si riponeva fiducia nella scientificità della interpretazione dei processi è ora necessario recuperare consapevolezza culturale e storica; dove si pensava di sostituire l'acquisizione della natura fisica e formale del costruito con l'esattezza della misurazione quantitativa è necessario recuperare la specifica strumentazione qualitativa e creativa del "disegno"; dove si immaginava che l'impegno politico potesse risolvere ogni problema di linguaggio e di comunicazione tra tecnici e "utenti", è necessario ora immaginare un ruolo nuovo d'azione e una capacità di ascolto che dia la necessaria utilità allo scambio comunicativo, nei processi di trasformazione. 

Le dichiarazioni espresse all'apertura della nuova scuola di urbanistica, riviste e riascoltate oggi, recuperano alla memoria novità allora entusiasmanti, capaci di convincere centinaia di studenti a seguire i corsi della nuova scuola e tuttavia richiedono che sia riconosciuta, nella gravità delle sue conseguenze, la frattura, mai sanata, che si è allora stabilita tra quella scuola e la tradizione italiana degli studi e dell'insegnamento dell'architettura; una frattura successivamente aggravata da un eccesso di ideologizzazione mai attentamente e criticamente valutato [11], nella sua incapacità di indicare una prospettiva diversa e praticabile nella formazione del progettista urbanista. Interrogato su questi argomenti, Giuseppe Abbate, forse il più "antico" dei collaboratori di Astengo, in un passaggio della sua intervista, riconosce "gli esiti prodotti" tra e dagli studenti del nuovo corso di laurea, ma nello stesso tempo ammette con delusione che quello che non si è prodotto è stato "l'esito", che Astengo immaginava [12]

Un documento, come quello qui presentato, associato alle considerazioni di chi quel periodo e gli anni che sono seguiti, lo ha vissuto concretamente, costituisce una fonte preziosa per chi ha il compito di riorientare la direzione da prendere nel rilancio e nel consolidamento di una scuola che ha il compito di formare urbanisti e pianificatori al servizio del governo delle trasformazioni territoriali, in tempi cruciali per il destino del paese.

Venezia, novembre 2014 

Leonardo Ciacci
Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi
Università IUAV di Venezia, Venezia, Italy
E-mail: ciacci@iuav.it


[1] Cfr. Giovanni Astengo, Urbanistica, Enciclopedia Universale dell'Arte, vol. XIV, p. 605. "In questa nuova logica, la pianificazione diventa essenzialmente creatrice dello sviluppo economico e sociale, oltre urbanistico...".
[2] Cfr. Giovanni Astengo, "Le nostre tigri di carta. La battaglia urbanistica: un clamoroso fallimento", in Il Ponte, n. 11-12, dicembre 1968, pp. 1493-1510, Le Monnier, Firenze, 1968.
[3] Cfr. Giovanni Astengo, Urbanista sotto accusa a Gubbio, Torino 1968.
[4] Cfr. Paolo Ceccarelli, "Verso una facoltà di pianificazione", in Giuseppe Campos Venuti e Fedrico Oliva (a cura di), Cinquant'anni di urbanistica in Italia, 1942-1992, Laterza, Roma 1993, pag. 407-423.
[5] Cfr. Alessandra Marin, "Una nuova scuola per un uomo nuovo. Il corso di laurea in urbanistica e il nuovo assetto dipartimentale", in G. Zocconi e M. Carraro (a cura di), Officina Iuav, 1925-1980, Collana Iuav, Marsilio, Venezia 2011, pp.189-205.
[6] Cfr. Giovanni Astengo testimonianze. Intervista a Bruno Gabrielli, raccolta da Alessandra Marin e filmata a Genova il 14 giugno 2004. E' consultabile presso la videoteca dell'Iuav e su www.planum.net, Section 'Movies'.
[7] Cfr. Giovanni Astengo testimonianze. Intervista a Giuseppe Campos Venuti, raccolta da Alessandra Marin e filmata a Bologna il 19 ottobre 2004. E' consultabile presso la videoteca dell'Iuav e su www.planum.net, Section 'Movies'.
[8] Cfr. Giovanni Astengo testimonianze. Intervista a Marcello Vittorini, raccolta da Alessandra Marin e filmata a Roma il 25 giugno 2004. E' consultabile presso la videoteca dell'Iuav e su www.planum.net, Section 'Movies'.
[9] Cfr. G. Astengo (a cura di), Luigi Piccinato, La progettazione urbanistica. La citta come organismo, Marsilio Editori, Venezia 1988 (Napoli 1947).
[10] Cfr. Giovanni Attili e Enzo Scandurra, Il pianeta degli urbanisti, Derive Approdi, Roma 2013. Cfr anche L. Ciacci, "Urbanistica perché? Per chi?", Recensione a Il pianeta degli urbanisti, http://www.planum.net/book-review-ibidem-scandurra-attili-ciacci,
[11] E' Marcello Vittorini a concludere: "Un bilancio, un bilancio che non abbiamo mai portato a termine e che forse è il caso di riprendere, perché ....parecchi di questi tentativi....sono stati scartati senza na adeguata riflessione". Cfr. Giovanni Astengo testimonianze. Intervista a Marcello Vittorini, cit.
[12] Cfr. Giovanni Astengo testimonianze. Intervista a Giuseppe Abbate, raccolta da Alessandra Marin e filmata a Venezia il 16 aprile 2004. E' consultabile presso la videoteca dell'Iuav e su www.planum.net, Section 'Movies'.


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